Indice ed inizio argomento "ricordo di Luca Tonello"
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SENTENZA DI TERZO GRADO CON MOTIVAZIONE |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
UDIENZA PUBBLICA
DEL 02/10/2003
SENTENZA
N. 856/03
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. CHIEFFI
SEVERO
PRESIDENTE
1. Dott. SANTACROCE
GIORGIO
CONSIGLIERE REGISTRO GENERALE
2. Dott. SILVESTRI
GIOVANNI
"
N. 006593/2003
3. Dott. RIGGIO
GIANFRANCO
"
4. Dott. SIOTTO MARIA
CRISTINA
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da :
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO
CORTE ASSISE
APPELLO di VENEZIA
nei confronti di:
1) BERTELLI
ROSSANA
N. IL 22/01/1973
2) MANDALA'
ALESSANDRO
N. IL 26/08/1974
nonché di BERTELLI ROSSANA
avverso SENTENZA del 09/10/2002
CORTE ASSISE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, la sentenza ed il
procedimento
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere
SANTACROCE GIORGIO
udito il Procuratore Generale in persona del dottor Mario FRATICELLI,
che ha concluso per il rigetto dei ricorsi
udito per la parte civile, l'Avv. Francesco Murgia
uditi i difensori Avv.ti Vincenzo GUTIERREZ per Mandalà e .. Luigi GALLINA per la Bertelli.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I. Con sentenza del 9 ottobre 2002, la
corte di assise di appello di Venezia confermava la condanna di MANDALA'
Alessandro e BERTELLI Rossana rispettivamente alla pena di anni 16 e mesi 10 di
reclusione e di anni 16 e mesi 8 di reclusione inflitta dal gup del tribunale
della stessa città, all'esito di un giudizio celebrato con le forme del rito
abbreviato per concorso nei delitti di rapina aggravata ed omicidio volontario
in danno di Tonello Luca e del solo Mandalà per porto abusivo di coltello.
La vicenda giudiziaria de qua risaliva
alla tarda serata del 30 ottobre 2000 ed era avvenuta in una zona isolata sulle
rive del fiume, in località Lughignano di Casale sul Sile, dove il Tonello, che
era stato legato in passato alla Bertelli da un rapporto sentimentale e che
continuava a vederla saltuariamente, veniva attirato dalla donna d'accordo con
il Mandalà, col quale lei aveva iniziato una nuova relazione, e con Bertazzoni
Gabrio, giudicato poi separatamente.
Obiettivo dell'agguato era quello di
aggredire il Tonello a scopo di rapina. Il giovane, presentandosi
all'appuntamento, veniva colpito dal Mandalà a colpi di martello (una mazzetta
da muratore, risultata poi del padre dell'imputato) e accoltellato alla schiena
per essere poi trascinato fino al limite delle acque del fiume e spossessato del
portafoglio che conteneva poco denaro e una carta di credito.
I giudici di appello, dopo aver
dichiarato l'inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni auto e etero accusatorie
rese dai due imputati in sede di polizia giudiziaria e davanti
al gip in sede di convalida del fermo, riteneva provata la loro partecipazione
all'impresa criminosa, stante la piena utilizzabilità delle dichiarazioni
confessorie rese sia dalla Bertelli che dal Mandalà in sede di esperimento
giudiziale e sopralluogo effettuato dal gip il 21 giugno 2001 alla presenza dei
rispettivi difensori. Tali dichiarazioni contenevano la piena confessione del
Mandalà, che in quella sede aveva provveduto a ricostruire le fasi del delitto
in chiave autoaccusatoria, fornendo elementi di prova anche a carico della
donna: la quale, del resto, nella stessa sede, aveva ammesso la sua
partecipazione alla rapina cercando solo di ridimensionare il suo coinvolgimento
nell'omicidio dell'ex fidanzato.
Peraltro il ruolo della Bertelli
nella vicenda emergeva da una missiva a sua firma datata 2 novembre 2000 e
indirizzata a un ispettore di polizia della squadra mobile di Treviso, dove si
accennava al previo disegno concordato con il Mandalà e si ammetteva in pratica
di aver ideato insieme sia la rapina che l'omicidio, anche se quest'ultimo era
stato materialmente eseguito dal correo.
Secondo la corte territoriale,
l'intera dinamica della vicenda evidenziava un delitto a due, di cui la Bertelli
era l'anello di congiunzione con la vittima e il soggetto psicologicamente forte
che aveva convinto e trascinato il Mandalà in un lavoro sporco,
spingendolo ad aggredire la vittima da dietro.
II. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia il procuratore generale presso la corte di appello di Venezia che la Bertelli.
Il
PG ritiene manifestamente illogica e contraddittoria l'avvenuta concessione ai
due imputati delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate
aggravanti (nesso teleologico tra i due delitti, futilità dei motivi), essendo
stata espressamente sottolineata nella motivazione l'indiscussa gravità
dell'omicidio, definito "atroce" e "premeditato" pur in
assenza dell'esplicita contestazione dell'art. 577 comma 1 n. 3 c.p. A
fronte del comportamento processuale dei due imputati, che non avevano mostrato
alcun segno di ravvedimento ed anzi la Bertelli aveva affrontato il giudizio di
secondo grado con "atteggiamento di sfida", la pena irrogata, ad onta
del rito abbreviato prescelto, appariva eccessivamente blanda e palesemente
inadeguata all'entità concreta dei fatti.
La Bertelli lamentava, anche lei
sotto il profilo del vizio di motivazione, che la decisione di condanna nei suoi
confronti si basasse esclusivamente sulle dichiarazioni confessorie da lei rese
in sede di esperimento giudiziale e su una missiva che, lungi dal fornire
"il robustissimo conforto accusatorio" affermato dalla corte,
costituiva un elemento probatorio riduttivo ed inaccettabile, anche perché
dalla sua lettura non si ricavava assolutamente che il progetto di eliminare
fisicamente il Tonello fosse stato concordato tra lei e il Mandalà, come
avevano congetturato i giudici. Nell'auto del Mandalà era stato rinvenuto un
berretto di lana che doveva servire al travisamento del suo compagno, il che
portava ad escludere che l'uccisione fosse stata ideata e preventivata.
In ogni caso, la corte aveva errato
nell'utilizzare come elemento di riscontro contro di lei le dichiarazioni auto e
eteroaccusatorie rese dal Mandalà in sede di esperimento giudiziale, avendo il
suo compagno cambiato ripetutamente versione sulla dinamica dell'omicidio e non
potendo in ogni caso l'esperimento effettuato ritenersi utilizzabile in sede di
giudizio non essendo stato eseguito nel rispetto delle condizioni previste dagli
artt. 218 e 219 c.p.p.
Da ultimo, la Bertelli censurava la
mancata applicazione dell'art. 116 c.p. a suo favore, non potendo ravvisarsi un
suo dolo eventuale nell'azione omicidiaria e replicava all'impugnazione del PG,
che riproponeva le stesse censure dedotte in sede di appello, senza tenere
minimamente conto delle motivate argomentazioni svolte dalla corte di merito con
riferimento al trattamento sanzionatorio inflittole.
Nell'imminenza della trattazione del
ricorso, la difesa della Bertelli ha depositato presso la cancelleria di questa
Sezione una memoria in cui ribadisce l'inconsistenza dell'impugnazione del PG,
che contiene soltanto un'impressione personale e soggettiva (l'atteggiamento di
sfida tenuto dalla donna nel corso del dibattimento di secondo grado); che, in
ogni caso, le posizioni dei due imputati dovevano essere tenute distinte e
giudicate separatamente; che la lettera inviata dal carcere all'ispettore
Schirru conteneva un accorato ravvedimento post-delictum; che la donna aveva
ammesso la sua partecipazione alla ideazione della rapina ma non anche
dell'omicidio; che era errato ritenere, come aveva fatto la corte di assise di
appello, che c'era stata la sua partecipazione morale all'omicidio e che, in
ogni caso, ricorrevano gli estremi per applicare l'art. 116 c.p., anche perché
lei vide le armi in possesso del Mandalà solo dopo la consumazione
dell'omicidio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Entrambi i ricorsi sono inammissibili.
E' inammissibile il ricorso del
procuratore generale, che ravvisa una contraddittorietà tra l'avvenuto
riconoscimento da parte della corte di merito dell'odiosità del delitto e
l'applicazione ad entrambi gli imputati delle circostanze attenuanti generiche
equivalenti, nonostante la sentenza abbia indicato in modo diffuso le ragioni
che, ad onta della obiettiva gravità dei fatti commessi e le spinte soggettive
a commetterli (soldi da spendere in discoteca o per acquistare sostanze
stupefacenti), giustificano la concessione del beneficio. I giudici non hanno
mancato di rilevare che il Mandalà aveva all'epoca dei fatti un onesto lavoro e
che egli era stato indotto e trascinato al delitto dalla forte personalità
psicologica della sua compagna, che aveva lasciato a lui il compito ingrato di
svolgere il "lavoro sporco" (p. 13). Senza contare che il Mandalà
aveva "mantenuta ferma la sua confessione nonostante qualche incertezza e
piccolo ridimensionamento" (p. 17).
Quanto alla Bertelli, i giudici non
hanno esitato ad evidenziare "i limiti formativi/culturali
dell'imputata", riconducibili "con tutta probabilità.. anche alla sua
famiglia di origine ed all'ambiente" (p. 18) e la presenza nella giovane
imputata di una sostanziale mancanza di equilibrio: senza tacere gli spunti che
possono trarsi dalla nota missiva circa "un suo larvato ripensamento"
(p.17).
In quest'ottica, le censure proposte
dal PG si risolvono in critiche su accertamenti ed apprezzamenti di fatto,
insindacabili in questa sede perché congruamente motivati.
Un discorso pressoché simile deve
essere svolto con riferimento alle doglianze formulate dalla Bertelli, la quale
si duole della scarsità del materiale probatorio utilizzato dalla corte di
merito per giungere all'affermazione del suo pieno coinvolgimento nella intera
vicenda, accusando i giudici di aver fondato la prova della sua partecipazione
all'omicidio sulle dichiarazioni auto ed etero-confessorie da lei rese in sede
di esperimento giudiziale, riscontrate dalle analoghe dichiarazioni auto ed
etero-confessorie fatte nella stessa sede dal Mandalà e dal tenore di una
missiva da lei inviata ad un ispettore di polizia tre giorni dopo la rapina e
l'omicidio del Tonello.
E' appena il caso di osservare che, a
parte quanto è stato dato di ricavare dalla lettura della prima parte della
sentenza impugnata (a proposito della sosta al bar dei tre imputati subito dopo
il delitto, della identificazione dei vari bancomat nei quali gli imputati
tentarono di prelevare denaro con la tessera della vittima in orario
immediatamente successivo alla sua uccisione, dei tabulati telefonici con i
tracciati delle telefonate intercorse la sera del delitto tra i rispettivi
cellulari: p. 3), la corte ha fornito un'ampia e convincente spiegazione circa
l'esistenza di "un previo disegno di agguato per rapina che prevedeva
l'aggressione inevitabilmente mortale perché altrimenti sarebbero stati
inesorabilmente riconosciuti e quindi denunciati" (p. 4), facendo osservare
come in sede di sopralluogo la ricorrente ebbe ad ammettere il reato di rapina e
non negò neppure il suo coinvolgimento nell'omicidio "pur non avendo in
esso materialmente maneggiato le armi" (p. 11).
Ma, c'è di più. Non solo nel caso
in esame è stata puntualmente rispettata la regola di giudizio dettata
dall'art. 292 c.p.p. in tema di riscontri, ma la corte ha fornito anche la
chiave di lettura di certi elementi di riscontro (come quello offerto dalla
missiva del 2 novembre 2000), spiegando che la donna costituisce "l'anello
di congiunzione con la vittima", a conferma e riprova che l'intera impresa
delittuosa è frutto di un accordo ideativo e operativo comune (pp. 12-13),
soffermandosi a lungo e in dettaglio sul ruolo ricoperto dalla donna nella
dinamica del tranello-agguato teso ai danni dell'ex fidanzato (vedi l'intera p.
13 sul punto).
Nessuna concreta rilevanza ha poi la
censura relativa alle perplessità formulate in ordine alla utilizzabilità di
quanto emerso in sede di esperimento giudiziale, che non sono state dedotte con
i motivi di appello e che vengono proposte per la prima volta in questa sede.
Come pure del tutto priva di pregio è la doglianza relativa all'omessa
applicazione della diminuente di cui all'art. 116 c.p., che la corte di merito
ha anche ampiamente motivato, ricostruendo con le parole dello stesso Mandalà
la dinamica "praticamente concorde e sovrapponibile" dei "momenti
cruciali dell'omicidio" (pp. 14-15).
Alla declaratoria di inammissibilità
del ricorso proposto dalla Bertelli seguono, avuto riguardo al carattere
pretestuoso meramente dilatorio delle doglianze formulate, le conseguenze di
legge, meglio precisate nel dispositivo.
P. Q. M.
Visti gli artt. 606, 616 c.p.p.
dichiara
inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.
Dichiara altresì inammissibile il
ricorso della Bertelli, che condanna al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma di 1000,00 euro a favore della Cassa delle ammende,
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado
di giudizio, che liquida in complessivi 3.500 euro, di cui 3.000 euro per
onorari.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2003.
IL CONSIGLIERE
ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Giorgio
Santacroce
Severo Chieffi
firma
firma