Indice ed inizio argomento "ricordo di Luca Tonello"
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SENTENZA SECONDO GRADO CON MOTIVAZIONE |
Udienza 21 Gennaio 2002
Sentenza n. 39/2002
N. 22/02 R.G. Assise Appello
N. 7994/00 Reg. Notizie di reato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI ASSISE DI
APPELLO DI VENEZIA
Sezione I^
composta dai Sigg.
dott. Umberto
Zampetti - Presidente
dott. Daniela Perdibon
- Consigliere
sig.ra Elda
Tugnoli
- Giudice Popolare
sig. Alessandro Pedrezzoli - Giudice Popolare
sig. Giorgio
Cardioli
- Giudice Popolare
sig.ra Maria Teresa Vincenzi Zocca - Giudice Popolare
sig. Alessandro Luigi Valente - Giudice Popolare
sig.ra Anna Cecilia Sordei - Giudice Popolare
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
MANDALA' ALESSANDRO
Nato a Treviso il 26.08.1974
Appellante detenuto presso Casa Circondariale di Treviso
Detenuto dal 31.10.2000
Difensore di fiducia Avv. Rosa Parenti del foro di Treviso
Presente
BERTELLI ROSSANA
Nata a Treviso il
22.01.1973
Detenuta presso Casa Reclusione Femminile di Venezia
Detenuta dal 31.10.2000
Difensori di fiducia Avv. Gianluigi e Monica Gallina del foro di Treviso
Presente
Parte civile
TRONCHIN ANNA MARIA P.C.
appellante
Domiciliato presso Avv. F. Murgia di Treviso
Difensore di fiducia Avv. Francesco Murgia del foro di Treviso
Appellanti e appellati da P.M. - P.G. - P.C.
Avverso la sentenza n. 39/2002 in data 21.01.2002 del Gip del Tribunale di Treviso contro la quale proponevano ricorso per cassazione il P.G. il P.M. convertiti in appello ex art. 580 C.P.p. che decideva:
Visto l'art. 442 c.p.p. riservati i motivi
della decisione
Dichiara entrambi gli imputati responsabili
dei delitti loro ascritti, unificati nel vincolo della continuazione, e
conseguentemente, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti
contestate, applicato l'aumento per la continuazione e la riduzione per il rito,
condanna Mandalà' Alessandro alla pena di anni 16 e mesi dieci di reclusione e
Bertelli Rossana alla pena di anni sedici e mesi otto di reclusione.
Condanna altresì gli imputati al pagamento delle spese processuali (comprese le
spese di custodia cautelare) e alla pena accessoria dell'interdizione perpetua
dai pubblici uffici.
Dichiara entrambi gli imputati in stato di interdizione legale durante
l'espiazione della pena detentiva.
Condanna Mandalà Alessandro e Bertelli
Rossana - in via tra loro solidale - al risarcimento dei danni alla parte civile
costituita, liquidati nella complessiva somma di L. 600 milioni pari a Euro
309.874. Pone a carico degli imputati una provvisionale, immediatamente
esecutiva, pari a L. 300.000.000 pari ad Euro 154.937.
Condanna inoltre gli imputati al pagamento delle spese di costituzione che si
liquidano in complessive L. 12.000.000 (altre accessori di legge) pari a Euro
6.197.
Dispone la confisca e distruzione di quanto
in sequestro (salve esigenze attinenti al procedimento a carico dell'originario
coimputato).
Imputati
Entrambi
A) dei reati previsti e puniti dagli artt. 110, 575, 576 n.1 e 577 primo
comma n.4 - in relazione all'art.61 n.1 - e 628 comma terzo n.1 del Codice
Penale, perché in concorso con Bertazzoni Gabrio, per impossessarsi di un
portafoglio contenente denaro ed altri effetti personali ed in particolare una
carta di credito VISA avente n. 122996 rilasciata dalla Banca Popolare di Verona
- Banco San Geminiano e San Prospero, sottraendoli a Tonello Luca che li
deteneva addosso, al fine di conseguire il corrispondente ingiusto profitto ed
in particolare di poter utilizzare la menzionata carta di credito, nonché per
assicurarsi l'impunità dello stesso delitto di rapina, aggredivano il predetto
Tonello, anche tramite una mazzetta di ferro ed un coltello da caccia,
cagionandone la morte determinata da una gravissima lesione traumatica
cranio-cerebrale con sfondamento-scoppio del cranio e spappolamento parziale del
cervello; fatti aggravati dalla futilità dei motivi, rappresentati dal poter
disporre del denaro rapinato al Tonello, e di quello che avrebbero dovuto
ottenere utilizzando la carta di credito, in spese voluttuarie e divertimenti.
Casale sul Sile, località Lughignano la sera del 30.10.2001
Mandalà Alessandro
B) del reato previsto e punito dall'art. 4 comma secondo della legge
18.4.1975 n. 110 perché, senza giustificato motivo, portava fuori dalla propria
abitazione la mazzetta di ferro ed il coltello da caccia di cui al capo A),
strumenti atti ad offendere ed utilizzati per l'offesa di Tonello Luca nelle
circostanze anzidette.
Casale sul Sile, località Lughignano la sera del 30.10.2000
FATTO E DIRITTO
1. Il presente procedimento è stato definito in primo grado con rito abbreviato tipico, e pertanto può farsi legittimo riferimento a tutti i validi atti di indagine.
1.1 Riferiamo subito, in sintesi, la ricostruzione schematica generale della vicenda secondo la prospettazione accusatoria quale emerge con brutale chiarezza dal complesso delle indagini:
BERTELLI Rossana, 27enne all'epoca del fatto, aveva avuto una passata relazione con TONELLO Luca; per affermazione peraltro della stessa Bertelli, i due continuavano saltuariamente ad incontrarsi, consumando anche rapporti sessuali e ciò pur in costanza di un nuovo rapporto che la predetta ragazza aveva nel frattempo comunque iniziato con MANDALA' Alessandro, di un anno più giovane della compagna;
Nell'Ottobre del 2000 la Bertelli, per necessità di denaro per poter effettuare piccole spese, si era rivolta al Tonello per avere qualche prestito, peraltro negato; ella allora maturava l'idea di rapinare l'ex fidanzato, coinvolgendo nell'impresa il nuovo amico; così la ragazza dava appuntamento al Tonello per la tarda serata del 30.10.2000 in una zona isolata sulle rive del fiume in località Lughignano di Casale sul Sile dove la futura vittima in effetti si presentava, raggiungendo poi a piedi la Bertelli; usciva allora dal buio il Mandalà, che era giunto con la sua auto accompagnato dal suo amico Bertazzoni Gabrio (giovane peraltro processato separatamente sotto la stessa imputazione concorsuale), ed uccideva il Tonello a colpi di martello (in realtà una mazza da muratore) sulla testa e quindi con alcune coltellate alla schiena; il corpo della vittima era trascinato fino al limite delle acque del fiume, e spossessato del portafoglio che risultò contenere poco denaro ed una carta di credito;
Successivamente, nella stessa serata, i due giovani tentavano senza successo in numerosi bancomat di prelevare denaro con la tessera appena sottratta al povero Tonello, non riuscendo in quanto la Bertelli non ricordava con esattezza il numero personale necessario per l'operazione, ed altresì si recavano a bere in un bar.-
1.2 Riferiamo ora più in dettaglio i risultati delle indagini:
a. il cadavere di Tonello Luca, di anni 29,
veniva rinvenuto verso le ore 13 del 31.10.2000 in località Lughignano di
Casale, lungo l'argine del fiume Sile. Nei pressi si rinveniva anche l'auto
della giovane vittima. Il corpo del Tonello presentava lesività inequivoche,
eloquenti di una subita aggressione risultata letale. Venivano invero
riscontrati i seguenti insulti traumatici:
- alcune ferite lacero contuse alla base del cranio, posteriormente;
- ampio squarcio del cuoio capelluto in zona frontale, con sfondamento del
tavolato osseo e sottostante spappolamento cerebrale;
- sei ferite da arma da punta e taglio in zona toracica posteriore destra, delle
quali tre con andamento quasi verticale, mentre le restanti con andamento
opposto.
L'accertamento eseguito dal consulente medico legale del P.M. consentiva di
stabilire che:
- i due colpi inferti al cranio erano stati portati con uno strumento
contundente compatto e non tagliente, tipo martello;
- la sede corporea aggredita per prima era presumibilmente quella posteriore del
cranio, con forza relativamente modesta;
- successivamente era stato inferto il colpo alla fronte, risultato
immediatamente mortale;
- le ferite al torace erano state provocate per ultime, ma non avevano avuto
concreta efficacia causale;
- il Tonello, colpito da dietro, non era stato in grado di porre in essere alcuna
difesa.-
b. Poiché la mattina stessa del ritrovamento i famigliari avevano denunciato la scomparsa del giovane, l'identificazione del cadavere fu sostanzialmente immediata, e le indagini si indirizzavano sul giro delle sue amicizie, a cominciare dalla Bertelli e dal nuovo compagno di costei (il Mandalà). Condotti in Questura, i de giovani rendevano entrambi pronta ed immediata confessione dei fatti, compresa l'ammissione di una sostanziale premeditazione della necessità omicida ai fine della rapina.-
c. Le indagini si arricchivano
quindi, già nell'immediatezza, dei seguenti elementi:
- sul luogo del delitto fu rinvenuto la mazza da muratore che il padre del
Mandalà riconosceva come propria;
- a carico del Mandalà furono rinvenuti e sequestrati un maglione macchiato di
sangue, risultato della vittima, ed il coltello (anch'esso con tracce di
sangue);
- tracce di sangue della vittima furono trovate su un braccialetto e tracce
biologiche sui pantaloni della Bertelli;
- venne ritrovato, sempre su indicazione del predetto Mandalà, il portafoglio
del Tonello gettato via dopo essere stato svuotato;
- vennero assunti testi che riferivano come, al bar ove si erano recati dopo la
consumazione del delitto, i tre (Mandalà, Bertelli e Bertazzoni) fossero ancora
assieme e come il primo avesse i pantaloni sporchi di fango e bevesse con la
mano sinistra (durante l'azione si era ferito alla destra) tanto che, nel bagno
del locale, furono poi trovati asciugamani sporchi di sangue;
- vennero identificati i vari bancomat nei quali gli imputati tentarono di
prelevare denaro con la tessera della vittima in orario immediatamente
successivi alla sua uccisione;
- vennero acquisiti i tabulati telefonici con i tracciati delle telefonate
intercorse quella sera tra i rispettivi cellulari (la Bertelli aveva chiamato
prima il Mandalà, poi il Tonello e quindi di nuovo il Mandalà).-
1.3 In relazione a
quanto sopra, si procedeva dunque a carico di MANDALA' Alessandro, BERTELLI
Rossana e BERTAZZONI Gabrio in ordine ai reati di concorso in rapina
aggravata (art. 628, comma 3° n. 1, Cp) ed in omicidio volontario in persona di
Tonello Luca aggravato dal nesso teleologico con il reato di rapina e dai futili
motivi (artt. 575, 576 n. 1, 577, 1° comma n. 4, Cp), come specificati in
rubrica al capo A), ed a carico del solo MANDALA' anche in ordine alla
contravvenzione di cui all'art. 4 L. 110/75 per il porto ingiustificato della
mazzetta da muratore e del coltello poi usati per la mortale aggressione alla
vittima (capo B).-
Le dichiarazioni degli imputati - per
quanto riguarda Mandalà e Bertelli che qui ci interessano - sono state raccolte
prima a sommarie informazioni testimoniali presso la questura, poi
davanti al Gip in sede di convalida e poi nel corso di un sopralluogo sulla riva
del fiume, presenti i difensori, in un contesto ricostruttivo della dinamica.-
La nullità della relativa notifica
comportava poi la separazione della posizione del Bertazzoni che, come si è
già detto, viene giudicato separatamente.-
Il procedimento proseguiva pertanto
per gli altri due imputati - attuali appellanti - con il chiesto ed ammesso rito
abbreviato.-
1.4 Nel procedimento Tronchin Anna Maria, madre della vittima Tonello Luca, si costituiva in parte civile.
2. Con sentenza 21.01.2002 (depositata
in data 01.03.2002) il Gup presso il Tribunale di Treviso :
a. dichiarava i due attuali imputati colpevole di tutti i reati loro ascritti, ritenuto vincolo di continuazione tra gli stessi;
b. riconosceva a ciascuno concorso di circostanze attenuanti generiche valutate equivalenti alle aggravanti, ritenute come contestate;
c. condannava, previa riduzione per il rito, il MANDALA' alla pena di anni 16 e mesi 10 di reclusione e la Bertelli a quella di anni 16 e mesi 8;
d. dichiarava i predetti due imputati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena detentiva;
e. li condannava in solido al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile liquidati in Euro 309.874, imponendo provvisionale immediatamente esecutiva in Euro 154.937, oltre alle spese di lite;
f. ordinava confisca e distruzione di quanto in sequestro.
2.1 Le predette
statuizioni erano motivate come segue :
2.1.a Quanto alla ricostruzione del fatto
ed al conseguente giudizio di responsabilità, il Gip basava il suo
convincimento sul complesso degli elementi raccolti che consegnavano il quadro
inequivoco del sicuro coinvolgimento dei due imputati nei termini sostanziali
sopra ricordati. Dopo aver accennato ad una possibile partecipazione materiale
anche del Bertazzoni (per la sua maggiore complessione fisica) e ritenuto di
scarso rilievo il dubbio se anche la Bertelli abbia inferto alcune coltellate,
il primo giudice concludeva sul punto assumendo la maggiore concordanza delle
prime dichiarazioni, rispetto alle successive più edulcorate, con gli
obbiettivi esiti di indagini e consulenze. Era certo, in definitiva, che vi era
stato un previo disegno di agguato per rapina che prevedeva aggressione
inevitabilmente mortale perché altrimenti sarebbero stati inesorabilmente
riconosciuti e quindi denunciati.-
2.1.b Quanto alle ritenute aggravanti,
il primo giudice riteneva pacifica quella della connessione teleologica con il
reato di rapina, e sussistente anche quella dei motivi futili individuati nello
scopo di ricorrere a così gravi delitti per procurarsi denaro - poi rinvenuto in
ben misera entità - da spendere in discoteca o per acquistare stupefacenti.
2.1.c Quanto alle riconosciute attenuanti
generiche, le stesse erano fondate su giovane età ed incensuratezza e,
quanto al Mandalà, sul fatto che egli svolgesse regolare attività lavorativa.
Il primo giudice valorizzava poi, allo stesso fine, sempre con riferimento ad
entrambi, l'immediata resa confessione giudicata "rivisitazione critica
delle proprie scelte" e svilendo il significato dei successivi
ridimensionamenti nelle rispettive dichiarazioni, giustificandole con il
prevalere di "ragioni oggettive di difesa".
Il giudizio di equivalenza tra riconosciute aggravanti e ritenute
attenuanti era in null'altro basato che nella invero apodittica affermazione
dell'idoneità delle seconde a controbilanciare le prime.-
2.1.d Quanto alla misura sanzionatoria,
premesso il sicuro vincolo di continuazione tra tutti i reati, la stessa era
fissata per entrambi gli imputati per il graviore reato di omicidio volontario
nel massimo edittale (con equivalenza di circostanze) di anni 24 di reclusione,
tale stabilità in rapporto sia alle significative relazioni con la vittima, sia
alla micidialità degli strumenti operativi. L'aumento per i reati in
continuazione era ritenuto congruo in anni 1 per la rapina ed in mesi 3 per il
reato di cui al capo B). Sulle pene come risultanti (anni 25 per la Bertelli,
anni 25 e mesi 3 per il Mandalà) era poi detratto un terzo di legge ex art. 442
Cpp per la scelta del rito, così da definirsi le anzidette pene concrete.
2.1.e Quanto al risarcimento del danno,
in mancanza di elementi che provassero una diminuzione patrimoniale in capo alla
madre del Tonello, lo stesso era ritenuto solo di natura morale e quindi veniva
liquidato unitamente alle spese come da dispositivo.-
3. L'anzidetta sentenza era fatta oggetto di impugnazione da parte degli imputati, del Procuratore Generale presso questa Corte e del Procuratore della Repubblica presso il giudice di primo grado.-
3.1 Il Procuratore Generale proponeva ricorso per cassazione, convertito in appello a seguito del contestuale gravame difensivo, lamentando la violazione degli artt. 133 e 62 bis Cp ed illogicità e carenza motivazionale dell'impugnata sentenza. Ed invero - sostiene il P.G. - la decisione, dopo aver evidenziato elementi di particolare disvalore (una sostanziale premeditazione, ancorché non contestata; particolare ferocia nell'esecuzione; freddezza e determinazione anche nella fase successiva al delitto), riconosce ad entrambi gli imputati le attenuanti generiche motivate con argomenti (la giovane età, l'incensuratezza e la condotta processuale) che l'impugnante deduce come o insussistenti o privi di reale valore. In particolare l'età dei due imputati non può dirsi tale da non aver consentito sufficiente maturazione, mentre la condotta processuale, lungi da essere stata produttiva e collaborativa, o indice di ravvedimento, si è sempre più spostata verso tesi di comodo lontane dalla realtà storica. In definitiva le attenuanti generiche, se riconosciute, dovevano essere ritenute non più che subvalenti rispetto alle sussistenti aggravanti.
3.2 Il Procuratore della Repubblica presso il giudice di primo grado parimenti proponeva ricorso per cassazione, anch'esso convertito in appello, lamentando l'illogicità della motivazione dell'impugnata sentenza laddove questa dichiarava l'equivalenza delle riconosciute attenuanti generiche basate su elementi quali l'incensuratezza e la giovane età, senza considerare i precedenti di polizia (per entrambi) e la raggiunta sufficiente maturazione psichica, e disattendo chiari elementi negativi quali la proditorietà dell'aggressione, l'alta intensità del dolo evidenziata dalla pluralità dei colpi inferti, la freddezza dimostrata post factum e la futilità dei motivi, ed infine l'incongruenza e le contraddizioni della condotta processuale, così in definitiva chiedendo che solo un giudizio di subvalenza delle generiche rispetto alle pur riconosciute aggravanti venga ritenuto immune dai prospettati vizi.-
3.3.1 L'imputata
BERTELLI Rossana proponeva appello deducendo ed invocando:
a. in rito l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese
alla P.G. il 31.10.2000, perché rese in difetto di copertura difensiva pur
essendo autoaccusatorie; di quelle rese, pur in sede di interrogatorio e pur con
presenza difensiva, davanti al Gip il 03.11.2000 e davanti al P.M. il 12.12.2000
perché retroattivamente colpite dalla L. 01.03.2001 n. 63 in quanto comunque
non completamente rispettose del nuovo dettato dell'art. 64 Cpp (nel sostenere
tale quadro, la difesa appellante peraltro assume, accetta ed ammette la piene
utilizzabilità dell'interrogatorio reso in sede di esperimento giudiziale
21.06.2001);
b. in merito al delitto di omicidio, l'appellante
assume che "la presenza della ragazza sul luogo ed al momento del
delitto non può significare assolutamente nulla" non essendo stato
chiarito quale sia stato il ruolo di essa Bertelli, quanto alle armi usate per
l'uccisione, si sostiene : a. la mazzetta apparteneva al Mandalà e non
reca impronte della ragazza; b. il coltello reca si impronte della
Bertelli, ma si tratta di tracce minime e quindi incerte, e comunque, per la
loro disposizione, dimostrative eventualmente di averlo preso in mano ma non di
averlo impugnato in senso offensiva; quanto poi ai liquidi biologici rinvenuti
sui pantaloni di essa appellante, si tratta di tracce minime probabilmente da
contatto (con il coimputato o con il portafogli della vittima) e non per
investimento diretto. In conseguenza si chiede l'assoluzione dal reato di
omicidio, sostenendosi che essa Bertelli avrebbe voluto solo la rapina (che
si doveva attuare diversamente da come poi realizzata e cioè a viso coperto :
così si sostiene risultare nell'unica deposizione utilizzabile). Tale
affermazione è confortata con gli esiti delle indagini - ivi comprese le
consulenze - che non darebbero un ruolo attivo alla ragazza.
c. in subordine si chiede volersi applicare la
diminuente di cui all'art. 116 Cp per aver voluto un reato diverso e di
conseguenza doversi escludere le contestate aggravanti in quanto incompatibili
con l'ipotesi del concorso anomalo.
d. in punto pena comunque volersi ridurre la sanzione,
anche per equilibrarla rispetto alla maggior responsabilità del Mandalà.-
3.3.2 Con atto datato 25.09.2002 la difesa della Bertelli produceva una memoria con la quale ribadiva le tesi difensive già esposte nella motivazione dell'appello ma soprattutto contrastava l'impugnazione dei rappresentanti dell'accusa, sostenendo che tali gravami sarebbero inammissibili in quanto volti a censurare il merito dell'impugnata decisione e non propongono doglianze di legittimità, e comunque infondati posto che il primo giudice avrebbe correttamente ed adeguatamente motivato la propria valutazione fondativa delle riconosciute attenuanti generiche e della ritenuta equivalenza.-
3.4 L'imputato
MANDALA' Alessandro a sua volta proponeva appello sostenendo:
a. in ordine al reato di omicidio volontario, volersi derubricare
ad omicidio preterintenzionale : sostiene questo appellante che l'accordo
con la Bertelli era "per colpire e rapinare" il Tonello e che
dunque non avrebbe preso atto il primo giudice che esso Mandalà avrebbe inferto
il colpo mortale solo perché era stato preso dal panico dopo i gridi della
vittima seguenti al primo colpo; però poi si aggiunge che la stessa sentenza,
così come il consulente, lasciano aperta l'ipotesi che il colpo più forte,
quello alla fronte, sia stato inferto dal secondo uomo, circostanza proposta ma
poi dimenticata dal Gup; in sostanza la volontà era diretta solo a stordire con
il primo colpo, più modesto, e dunque si ribadisce la chiesta derubricazione
alla minore figura preterintenzionale;
b. in subordine, quanto al trattamento sanzionatorio,
premesse considerazioni generali e giurisprudenziali sull'istituto, si osserva
come il ragionamento del primo giudice (giovane età, incensuratezza e
confessione) avrebbero dovuto condurre a valutazione di prevalenza delle
attenuanti, con riduzione della pena ai minimi di legge.-
4. All'odierna udienza camerale di questa Corte, presenti e detenuti gli appellanti imputati, presente la parte civile, resa la rituale relazione, all'esito le parti concludevano come da verbale in atti.-
5. Osserva la Corte
come l'impugnata sentenza regga a tutte le critiche mosse da accusa e difesa. I
contrapposti gravami risultano invero infondati e vanno quindi disattesi, con le
conseguenze di legge.-
Esamina la Corte, in ordine logico, prima l'eccezione difensiva di
inammissibilità della duplice impugnazione dell'accusa, quindi il merito delle
diverse doglianze come sopra proposte.-
5.1 L'ammissibilità
delle impugnazioni di P.M. e P.G.-
Le eccezioni mosse dalle difese, sia
nei loro atti formali che nelle odierne conclusioni orali, non hanno pregio.
E' bensì vero che l'accusa, a fronte
di sentenza emessa a seguito di rito abbreviato che sia di condanna e non abbia
operato mutamento della qualificazione giuridica (come nel caso presente), non ha
diritto all'appello, secondo il dettato, la cui costituzionalità è stata di
recente ribadita, dell'art. 443.3 Cpp.
E' pacifico peraltro che la medesima
accusa, in tal caso, conserva il diritto al ricorso per cassazione. Tale
impugnazione, unica esperibile, conserva natura e contenuto di ricorso in
termini, e limiti, di legittimità.
Di conseguenza, ove vi sia
contemporanea presentazione di atti di impugnazione in appello da parte di altri
soggetti processuali legittimati, come gli attuali imputati, il ricorso
dell'accusa si converte in appello, secondo la regola dettata dall'art. 580 Cpp.
In tal caso il giudice dell'appello
deve eseguire, sul ricorso dell'accusa, un duplice successivo vaglio : in un
primo momento valutare la dedotta asserita violazione in termini di
legittimità; superato positivamente tale primo vaglio, in un secondo momento
scendere al giudizio di merito quale si sarebbe dovuto eseguire sulla base
della corretta applicazione delle norme invocate.
Orbene, su tale impianto processuale
si colloca l'eccezione difensiva che lamenta non avere le doglianze del P.M. e
P.G. le necessarie connotazioni di legittimità.
L'assunto è infondato.
Rileva invero la Corte come sia
l'impugnazione del Procuratore della Repubblica di Treviso che quella del
Procuratore Generale di Venezia si caratterizzano entrambe per un'insita
prospettazione di legittimità, asseritamene violata. E' bensì vero che le due
doglianze di necessità involgono anche valutazioni di merito, segnalando
i profili di fatto che (a loro avviso) avrebbero dovuto imporre diversa
conclusione in punto di giudizio di bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti,
ma è di tutta evidenza che le deduzioni sono principalmente informate ai
rituali vizi di legittimità, dei quali si chiede invero la rimozione. Il P.G.
denuncia vizio di illogica e contraddittoria motivazione sul punto (deducibile
in cassazione ai sensi dell'art. 606, 1° co., lett. e, Cpp) ed il P.M.
parimenti invoca la manifesta illogicità, risultante dal testo del
provvedimento impugnato, sullo stesso passaggio motivazionale, così decisamente
investendo il giudice di legittimità con ricorso dunque ammissibile nei termini
appena sopra ricordati.
Respinta dunque siffatta eccezione
preliminare, e dichiarata la ritualità delle due impugnazioni dell'accusa, la
loro valutazione in concreto ed in fatto va peraltro rimandata alla successiva
parte motiva, ovviamente dopo aver vagliato i due gravami defensionali.-
5.2 La questione
di rito proposta dalla Bertelli.
Prima di entrare nel merito dei fatti
e delle relative valutazioni, occorre peraltro preliminarmente vagliare la
questione di inutilizzabilità che la difesa della predetta imputata propone. La
pecularietà di ogni eccezione relativa all'utilizzabilità degli atti è invero
proprio quella di imporre una preliminare valutazione delimitativa delle prove
utilizzabili, e dunque di stabilire gli strumenti validi per l'accertamento
richiesto dall'ipotesi accusatoria.
Orbene, le prospettazioni difensive
sono senz'altro fondate nei limiti seguenti.
Non c'è dubbio che sono affette da
nullità assoluta ed insanabile, rilevabile in ogni stato e grado, anche
d'ufficio, le dichiarazioni raccolte a sommarie informazioni testimoniali, in
assoluto spregio dei diritti difensivi, dalla p.g. (Questura di Treviso)
nell'immediatezza dei fatti (vedasi nota 1). Si tratta di dichiarazioni, sia
della Bertelli che del Mandalà, ampiamente confessorie che dunque imponevano la
loro inevitabile interruzione per la convocazione di un difensore (e successiva
prosecuzione). Si tratta della ben nota nullità mortale di cui all'art. 178,
lett. c, Cpp in relazione al disposto dell'art. 63 Cpp che peraltro
espressamente sancisce di inutilizzabilità le dichiarazioni assunte nel
dispregio della necessaria copertura difensiva. Non resta dunque che prendere
atto, amaramente, di tutto ciò (vedasi nota 2).
Analogo destino va riservato alle
dichiarazioni, ampiamente auto ed etero accusatorie, rese dai due imputati al
Gip il 31.10.2000 (convalida), il 03.11.2000 e davanti al P.M. il 12.12.2000,
pur con la necessaria copertura difensiva, per essere retroattivamente colpite
da inutilizzabilità ai sensi della L. 01.03.2001 (che ha così travolto il
principio tempus regit actum).
Trattandosi di inutilizzabilità
imposta ex lege, essa coinvolge anche il Mandalà che pur non la invoca,
e per il comma 3 bis dell'art. 64 Cpp quale ora risultante, tali dichiarazioni
non sono valutabili neppure per quanto riguarda "fatti che concernono la
responsabilità di altri" (e dunque neppure in funzione di chiamata in
correità).
I gravi fatti vanno quindi
ricostruiti sulla base degli altri elementi di causa.
Per amore di verità, comunque, ve ne
sono.-
5.3 L'omicidio e
la compartecipazione criminosa.
Le risultanze processuali
utilizzabili ed una corretta valutazione logica d'insieme impongono la conferma
della piena colpevolezza concorsuale dei due attuali imputati in ordine ai gravi
fatti loro ascritti.
Osserva la Corte come sia pacifica e
condivisa tra le parti la piena utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal
Mandalà e dalla Bertelli nel corso dell'esperimento giudiziale e sopralluogo
effettuato dal Gip in data 21.06.2001, alla presenza dei rispettivi difensori e
nel completo dispiegarsi di tutte le formalità ed incombenze garantistiche
imposte dalla vigente normativa.
Orbene tali dichiarazioni, le uniche
utilizzabili, contengono la piena confessione ad opera del Mandalà (che invero
non devolve in appello il punto responsabilità) ed elementi precisi a carico
della Bertelli che, uniti ad altri emergenti dagli atti, pienamente utilizzabili
(anche in virtù del rito abbreviato), conducono alla di lei tranquillante
condanna.
Ed invero in tale atto il Mandalà,
pur in un contesto evidentemente riduttivo rispetto alle precedenti più ampie
dichiarazioni (quelle dichiarate inutilizzabili) ricostruisce il delitto in modo
pienamente autoaccusatorio, fornendo elementi (ben utilizzabili e riscontrabili)
a carico della Bertelli. Costei, del resto (sempre nel verbale di tale
esperimento - sopralluogo) ammette il reato di rapina aggravata e non nega in definitiva
- ancorché tenti di prendere le distanze - un coinvolgimento
nell'omicidio pur non avendo in esso materialmente maneggiato le armi.
Tali elementi di valutazione,
risultanti dalle dichiarazioni rese nel predetto esperimento giudiziale del
21.06.2001, trovano per la Bertelli un robustissimo conforto accusatorio in un
atto sicuramente proveniente dalla stessa e di rilevante - ed assolutamente non
sospetto - contenuto autoaccusatorio.
Si tratta di una missiva (agli atti a
f. 263/A del faldone 2°) a firma "Rossana" proveniente
da Belluno - luogo della di lei detenzione carceraria - datata "2
novembre 2000" dunque tre giorni dopo i fatti) ed indirizzata all'
<Ispettore Capo Schirru Salvatore - Squadra Mobile - Questura TREVISO>
(colui che, insieme ad altri agenti, l'aveva arrestata). Il tono confidenziale
giovanile induce a ritenere o una probabile previa conoscenza tra i due, ovvero
l'uso di un linguaggio assolutamente informale da parte della ragazza (del resto
conforme alla di lei personalità quale emerge dagli atti). Sta di fatto,
comunque, ed è quello che massimamente interessa a questi fini, che la giovane
arrestata nel corso della lettera - pur in un evidente tentativo di dare la migliore
immagine di se stessa - lascia trapelare ed anzi finisce per esprimere
considerazioni ampiamente ammissorie anche di un previo disegno concordato con
l'attuale coimputato.
Leggiamo : " ...Non riesco a riconoscermi in
quello che è successo, anzi in quello che ho fatto. Guardo incredula tutti i
telegiornali. So che la colpa è mia, ma non totalmente, anche perché mi sono
convinta che il più che è successo non l'ho commesso io .......Dille
soprattutto (con riferimento ad una sua amica, tale Laura, che lo
Schirru avrebbe dovuto contattare, n. d. e.) che se sono io quella che ha
ingegnato tutto non sono io che l'ho ucciso".
Orbene, non è chi non veda
che siffatta missiva, della cui genuinità ed immediatezza nessuno può
dubitare, si trova in pieno - in termini ammissori - tutto l'impianto del
delitto come già evidenziato nel complesso verbale dell'esperimento giudiziale.
La Bertelli riconosce che "quello
che ho fatto è colpa mia" perché è lei che "ha
ingegnato tutto", ma propone un ridimensionamento del suo ruolo
perché "il più che è successo non l'ho commesso io.....non sono io
che lo ho ucciso", cioè ricorda che la fase aggressiva materiale
è stata eseguita dal complice. Il collegamento giuspenalistico tra l'ideazione
concordata (ho ingegnato tutto) e l'evento pur materialmente realizzato
dal complice (non sono io che l'ho ucciso) non è evidentemente nelle sue
possibilità, ma non le sfugge di certo il risvolto soggettivo di un quadro dal
quale non le è più possibile evadere (non riesco a riconoscermi in quello
che è successo..... è colpa mia).
La corrispondenza con le posizioni
alla fine emerse nel corso dell'esperimento è di tutta evidenza; il riscontro
è forte e completo.
Ma è di rilevante importanza
ricostruire le due personalità. sul rilievo che un delitto di tanto momento
necessariamente si inscrive nei personali percorsi psicologici. Orbene non è
chi non veda come anche tale fondamentale prospettiva conduca alla stessa
conclusione. Si tratta invero di un delitto a due (quanto meno) che vede la
Bertelli come anello di congiunzione con la vittima. Era lei che aveva rapporti
con il Tonello, e non solo generici, ma anche ed ancora intimi (pur avendo il
nuovo legame con il Mandalà). Solo lei dunque avrebbe potuto dare appuntamento
alla vittima che fosse credibile, anzi gradito. Se si fissa l'appuntamento, anzi
si va assieme, sulla riva del fiume, in un luogo isolato, non è certo per
contare le stelle. Solo la Bertelli poteva indurre a tanto il Tonello, che è
miseramente caduto nel tranello - agguato teso dalle arti femminili
dell'imputata. Dunque la Bertelli è momento ineliminabile del piano operativo,
in quanto essenziale al suo "buon esito".
Ma vi è anche il rapporto con il
Mandalà. La sussistenza di una relazione psicologica del tipo incube - succube
è di indiscutibile evidenza. La complicità fattuale e giuridica nasce già
come complementarietà psicologica.
La ragazza non solo è l'anello di
congiunzione con la vittime, ma appare sufficientemente leader nella
coppia, tale da trascinare il nuovo amico al delitto, un crimine che di
necessità doveva realizzarsi con una ineliminabile compartecipazione (lei
conduce il Tonello in prospettiva di appartarsi, e lui l'aggredisce da dietro,
come in effetti è stato). Il soggetto psicologicamente forte (la Bertelli)
convince e trascina il complice psichicamente più indifeso (il Mandalà) e
lascia a quest'ultimo il lavoro sporco.
Classico schema, ancora una volta
tragicamente rappresentato da giovani dalla personalità labile e dalla
socializzazione incerta.
Schema che, sia pur
inconsapevolmente, c'è già tutto nella sopra riportata missiva della Bertelli
: non riesco a riconoscermi....la colpa è mia....ho ingegnato tutto
io...non sono io che l'ho ucciso.-
Ancora poche parole, allora, per
disattendere la tesi difensiva secondo cui l'asserita <mera presenza>
della Bertelli sul luogo del delitto non basterebbe a delineare la
responsabilità dell'imputata. Non si tratta invero di presenza inerte e
inutile.
E' costei che ha teso l'agguato,
dando l'appuntamento, altrimenti il Tonello non sarebbe andato in un luogo così
appartato; è costei che doveva garantire la presenza in luogo, altrimenti la
vittima non si sarebbe trattenuta e si sarebbe insospettita; è costei, e solo
lei, che infine poteva attrarre l'attenzione ingenua del Tonello per consentire
una più facile, e proditoria, aggressione da dietro.
Di più : è la Bertelli che telefona
al Mandalà (ore 19,33 del 30 Ottobre) per prendere accordi; è sempre lei che
telefona al Tonello (ore 20.09 dello stesso giorno) per confermare
l'appuntamento - agguato; è ancora la Bertelli che richiama il Mandalà (ore
20,35) per conferma : elementi tutti, questi, non contrastati dagli appellanti
nei loro motivi.
E' lei che crede di sapere il numero
di bancomat della vittima, suo ex fidanzato, e tenta - in successive e
continuate volte - di prelevare denaro e così trarre profitto dal delitto. Non
è questa la condotta di chi abbia "assistito inerte" ad un delitto
atroce che non le apparteneva.
Ce n'è quanto basta.
5.4 Le richieste
subordinate della Bertelli
L'imputata Bertelli in via
subordinata richiede l'applicazione in suo favore della diminuente speciale
prevista dall'art. 116 Cp (c.d. concorso anomalo) per avere voluto un
reato minore (la rapina) ed ancora - ove accolta tale tesi - l'esclusione delle
aggravanti ritenute di primo grado (nesso teleologico con la rapina
stessa e futili motivi) in quanto incompatibili con la figura del
concorso anomalo.
La richiesta volta al riconoscimento
dell'anzidetta diminuente speciale non è fondata. Va invero premesso che la
pacifica ed ormai consolidata giurisprudenza di legittimità esclude il concorso
anomalo ogni volta che, pur anche ammesso un accordo per il reato minore,
tuttavia le preventivamente conosciute circostanze e modalità operative devono
indurre a riconoscere almeno un dolo indiretto (indeterminato, alternativo od
eventuale), caso in cui permane l'ambito di applicabilità del concorso comune
ex art. 110 Cp. Non si verte dunque nel concorso anomalo ogni volta che l'evento
più grave non sia fatto imprevedibile ed atipico, ma rientri nel normale ed
accettato, almeno a livello di dolo eventuale, sviluppo dell'azione. In ogni
concordata rapina, la cui realizzazione transita inevitabilmente attraverso
l'uso della violenza contro la vittima designata, la possibilità che la stessa
trasmodi in fatto di sangue più grave è insita nei fatti, e dunque sviluppo
prevedibile ed accettato. Abbiamo visto come - pur dichiarati inutilizzabili i
primi atti non garantiti - emerga dal verbale di esperimento giudiziale un
quadro sufficientemente preciso che consente la conclusione di un previo accordo
tra i due imputati anche nell'uso, quanto meno genericamente, di strumenti
contundenti e lesivi. Ricordiamo ora come sia stato rievocato, senza
contrarietà sul punto, e dunque con ciò smentendo le successive proteste di
minor coinvolgimento, la sostanzialmente congiunta estrazione del martello
(mazzetta da muratore) dall'auto con era l'imputato giunto, operazione che non
solo non destava alcuna perplessità o sorpresa in capo alla Bertelli, ma che la
confermava nell'attuazione del piano concordato.
Leggiamo il Mandalà "Io
presi la mazzetta dal cofano e la Bertelli vide questo e la nascosi sui
pantaloni davanti. Si". Poi i due si avvicinano al Tonello che era
rimasto un momento a parte (pare a fumare, forse uno spinello). La ragazza, in
questa fase, fa alcuni passi assieme al suo complice palesemente armato di
martello. La Bertelli, qualche passo più avanti, riprende quindi la compagnia
della vittima. Allora, secondo gli accordi, sopraggiunge il Mandalà ed esegue
il crimine. Questa ricostruzione dei momenti cruciali emerge praticamente
concorde e sovrapponibile e non può essere in alcun modo misconosciuta.-
La negatoria della ragazza sull'arma,
così come la prospettata sorpresa, è dunque improponibile. Come tale va
respinta.
Con ciò anche la richiesta di un
insostenibile concorso anomalo.
5.5 La
derubricazione chiesta dal Mandalà.
Nessun pregio riveste la richiesta
subordinata, avanzata dalla difesa del predetto imputato, di qualificare il
fatto commesso omicidio preterintenzionale, ai sensi dell'art. 584
Cp.
Ad escludere siffatta minore
prospettazione valgono le sopra riferite modalità esecutive, come pacificamente
accertate, che indicano l'evento morte essere stato direttamente ed
insistentemente voluto e cercato, sia dapprima con i colpi di martello in testa,
che successivamente con le coltellate al torace della parte lesa.
Quanto ai primi, la duplicità di
azione e la violentissima forza impressa nel colpo mortale, portato alla fronte
della vittima, già da soli indicano come non si intendesse semplicemente "percuotere"
il povero Tonello, ma si volesse direttamente sopprimerlo.
Quanto alle seconde, le stesse - per
quanto in sé non mortali, perché la precedente martellata in testa già lo era
stata - ampiamente dimostrano che l'evento morte era decisamente ricercato come
effetto della complessa azione, ad ogni costo.
In definitiva l'animus necandi
è ampiamente dimostrato dalla contemporanea presenza, nell'azione delittuosa,
di tutti i principale parametri richiesti dalla giurisprudenza : idoneità
degli strumenti operativi (pesante martello e coltello); zone vitali
prese di mira (capo e torace); ripetizione insistita dei colpi (in
totale almeno otto); adeguatezza del movente (rapinare e non farsi
denunciare, essendo conosciuti alla vittima).
A nulla rileva, pertanto, la protesta
del Mandalà secondo cui l'accordo con la Bertelli sarebbe stato limitato a colpire
e rapinare il Tonello, posto che - pur in siffatta prospettiva - il colpire
non escludeva certo, nella descritta situazione, l'esito più grave almeno
quale normale ed accettato sviluppo dell'azione.
Peraltro è di tutta evidenza che
poco conta, per l'esecutore materiale, un eventuale minore accordo con la
complice, posto che poi l'azione concretamente messa in atto è stata connotata
dalle caratteristiche sopra evidenziate supportate da sicuro dolo omicidiario
diretto. Del resto lo stesso Mandalà, nel suo atto di gravame, laddove pur
propone la tesi ora esaminata, non nega - anzi implicitamente ammette - un animus
necandi quale dolo superveniens. Ed invero, dopo aver apertamente
affermato che il primo colpo (quello portato alla nuca del Tonello) sarebbe
stato inferto senza intenzionalità mortale, proprio perché teso solo a
stordire la vittima, poi sostiene che i successivi colpo sarebbero stati
determinati dal suo stato di panico, in seguito alle urla della vittima. Orbene,
non è che non veda come, in siffatta descrizione dei momenti psicologici, la
tesi del preterintenzionale rimanga definitivamente esclusa, atteso che il panico
che avrebbe attanagliato il Mandalà a sufficienza innesca - ove pure non fosse
stata preesistente - la volontà omicida quale dolo (almeno) d'impeto ed il
movente di evitare la denuncia quale causale drammaticamente nel concreto
inveratasi.
L'ultima prospettazione, infine,
laddove si lamenta che il Gup avrebbe pretermessa la possibile partecipazione
materiale del terzo giovane (il Bertazzoni) che pur era stata ipotizzata dal
consulente del P.M., non può che naufragare a fronte della sopra riportata
ampia e circostanziata ammissione della propria condotta personale, ribadita da
ultimo - come si è appena ricordato - perfino nell'atto di impugnazione.
5.6 La sanzione.
L'impugnazione dell'accusa
Dovendo ora la Corte stabilire la
misura sanzionatoria equa e congrua per i due imputati, occorre di necessità
congiuntamente esaminare le contrapposte doglianze, di accusa e difese, sul
punto.
Si è già ritenuta l'ammissibilità
dell'impugnazione di P.M. e P.G.-
Valutando ora il merito di tali
gravami accusatori, rileva la Corte come se è vero che il giudizio di
equivalenza fatto dal primo giudice è praticamente non motivato, non meritano
peraltro censura né i fondamenti delle riconosciute generiche, né l'anzidetta
equivalenza che, nella sostanza e meglio motivando, appare a questa Corte
complessivamente ragionevole confermare (come in appresso si dirà).
Infondati sono di contro entrambe le
doglianze difensive in punto pena, sia quando richiedono prevalenza delle
riconosciute generiche, sia quando invocano riduzione comunque della sanzione
irrogata.
Una prima considerazione appare
inevitabile, ed è quella della gravità dei reati per l'ideazione (a danno di
un pregresso amico della ragazza), per la motivazione ultima (soldi da spendere
in piccole spese o frivolezze), per l'agguato (che ben avrebbe potuto
legittimare premeditazione), per l'ammiccamento sessuale ed infine, ma non in
importanza, per la crudeltà dell'esecuzione.
Ciò giustifica ampiamente la
determinazione della pena base nel massimo delle pena edittale per il reato di
omicidio semplice (anni 24).
Venendo agli elementi più
strettamente soggettivi, una prima considerazione deve questa Corte esprimere ed
è lo sconfortante vuoto personologico che il delitto manifesta in capo agli
imputati e che la loro stessa condotta processuale ribadisce. Non un segno di
resipiscenza, non un accenno a qualche valore umano e sociale da proporre come
indice di (migliore) personalità, ad isolare il delitto nel ruolo e nel luogo
di una follia isolata, di una vicenda unica ed irrepetibile, in qualche modo
lontana dal loro vero essere. Né le difese hanno in qualche modo cercato di
riempire siffatto vuoto. Resta l'amaro sospetto che proprio nessuno aveva
qualcosa di buono, o di meno doloroso, da offrire alla riflessione della Corte,
pur a fronte di appelli dell'accusa proprio in tema di valutazione complessiva
della personalità, al di là dell'atroce delitto (vedasi nota 3).
Dunque nessun elemento proposto di
migliore valutazione. Dobbiamo però, in un certo senso d'ufficio, ricordare
che, oltre alla giovane età ed all'incensuratezza, qualche spunto di buona (o
meno grave) considerazione va tratto :
- quanto al Mandalà, dal fatto che egli aveva
all'epoca un onesto lavoro e, in ordine alla determinazione psicologica, dal
fatto che egli sia stato con una certa evidenza indotto e quasi trascinato dalla
complice al delitto; la sua colpa principale è stata quella di non aver saputo
o voluto contrastare la ragazza che, in buona sostanza, lo stava portando per
mano in una via senza uscita; a suo favore va poi positivamente valutata la resa
confessione, ferma mantenuta nonostante qualche incertezza e piccolo
ridimensionamento (vedasi nota 4);
- quanto alla Bertelli, su cui pure grava ideazione e
determinazione dell'impresa criminosa, ed alla quale non può certo giovare più
di tanto non avere inferto martellate al Tonello, qualche spunto per ritenere un
suo larvato ripensamento può essere tratto proprio dalla lettera allo Schirru
di cui sopra si è detto ("mi dispiace per quel ragazzo che è
morto...non so se avrò più il coraggio di farmi vedere") : certo non
è molto, ma sono anche da rimarcare, essendo essi di tutta evidenza, i limiti
formativi morali/culturali dell'imputata, limiti che - con tutta probabilità -
risalgono anche alla famiglia di origine ed all'ambiente, e dunque non sono
rinviabili alla sua sola responsabilità personale (vedasi nota 5).
Il reato dunque si inscrive in uno
stile di vita, nel senso di una insostenibile leggerezza per i valori anche
elementari, annegati in un quotidiano procedere che dà più spazio al futile e
facile (e ciò appare vero specie per la Bertelli) e non sa trovare un
equilibrio sul quale fondarsi.
Ma i sopra ritrovati elementi di
miglior (meno grave) considerazione consentono la conferma dell'equivalenza, ma
non più, anche per consentire una pena concreta che apra spiragli di
rieducazione, in carcere e nel futuro post carcerario, ai due giovani
condannati.
Va respinta quindi la richiesta di
prevalenza contenuta nei gravami difensivi.
Va disattesa altresì la richiesta
della Bertelli di ottenere un trattamento sanzionatorio leviore di quello del
coimputato, e ciò per le argomentazioni sopra espresse (responsabilità
ideativa e di agguato, nonché maggior peso psicologico nella determinazione di
coppia) che impediscono di valutare favorevolmente il fatto di non aver
maneggiato le armi del delitto (e respinta, ovviamente, la pretesa di aver
voluto reato minore).
Non vi è gravame sull'entità delle
pene inflitte a titolo di continuazione, peraltro da ritenere eque e congrue in
relazione ai parametri tutti indicati dall'art. 133 Cp.
In definitiva le pene, principali ed
accessorie, irrogate in primo grado devono essere confermate.
6.
La conferma della concorsuale colpevolezza di entrambi gli imputati
comporta, in ordine ai reati di cui al capo A) della rubrica, la loro condanna,
in solido, al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte
civile. Nessuna specifica doglianza è stata proposta dagli appellanti sul
punto. Devono quindi trovare conferma le statuizioni della impugnata sentenza
concernenti gli interressi risarcitori.
Consegue altresì che i due imputati
debbano essere condannati, sempre con vincolo solidale, alla rifusione in favore
della costituita P.C. delle spese di lite che, per il presente grado di
giudizio, valutati difficoltà della causa ed impegni professionale, nonché a
mente della vigente tariffa professionale, si stima di determinare e liquidare
come da dispositivo.-
7. La reiezione completa dei proposti appelli comporta, ai sensi dell'art. 592 Cpp, la condanna delle parti private soccombenti al pagamento delle spese processuali anche del presente grado di giudizio.-
P.Q.M.
LA CORTE D'ASSISE D'APPELLO
SEZIONE PRIMA
Visti gli artt. 592 e 605 Cpp,
conferma
la sentenza 21.01.2002 del Gup del Tribunale
di Treviso emessa nei confronti di MANDALA' Alessando e BERTELLI
Rossana appellata dai predetti imputati, dal Procuratore Generale e dal
Procuratore della Repubblica di Treviso.-
Condanna il Mandalà e la
Bertelli al pagamento in solido delle spese processuali del presente grado di
giudizio.-
Condanna ancora i predetti due
imputati in solido alla rifusione delle spese della Parte Civile che, per il
presente grado di giudizio, liquida in 1.500= Euro, oltre il 10 per cento
forfettario per spese, IVA e CPA come per legge.-
Visto l'art. 544 Cpp,
Ritenuta la complessità della motivazione, indica in giorni 45 il termine per
il deposito della sentenza.-
VENEZIA, 09.10.2002
IL PRESIDENTE est
Dr. Umberto ZAMPETTI
firma
IL CANCELLIERE
Caterina Iorio
firma
Note richiamate nella sentenza
1. E' veramente incomprensibile che funzionari esperti e qualificati siano potuti incorrere in siffatta irritualità. Il momento particolare, a brevissima distanza dal fatto, e le prove raccolte non dovevano far temere che la presenza difensiva potesse pregiudicare le indagini.
2. Il MANDALA' aveva
spontaneamente dichiarato il 31.10.2000 : "Nell'alternativa di
rinunciare alla serata in discoteca, la Rossana ha deciso di incontrare il
succitato Luca per chiedergli un prestito ... Lei continuava asserendo di aver
già accordato un appuntamento ... intenzionata ad impossessarsi della tessera
bancomat ... proponendomi di intervenire a volto coperto con un'azione violenta
e cioè aggredirlo colpendolo alla testa per poi impossessarmi di detta tessera
... manifestando nuovamente la mia preoccupazione che potessi essere
riconosciuto, la Rossana mi riferiva che in quel caso lo dovevo ammazzare. Lei
ha ribadito che l'unica soluzione era quella di ucciderlo colpendolo alla testa
... alla fine ci siamo accordati ... e quando lei scendeva dall'auto con Luca
avrei dovuto colpirlo alle spalle ... percorsi alcuni metri venivo avvicinato da
Rossana che mi chiedeva se ero pronto ... a questo punto chiedevo dov'era Luca e
la Rossana mi diceva che era in attesa alcuni metri più avanti ... sfilavo il
martello e colpivo Luca alla nuca ... lo colpivo nuovamente alla testa ... lo
colpivo nuovamente per altre due tre volte alla nuca, dopo di che mi liberavo
del martello armandomi del coltello con il quale lo colpivo ripetutamente alla
schiena ... "
La Bertelli aveva spontaneamente dichiarato nella stessa data :
"Ad Alessandro riferivo che Luca aveva disponibilità di denaro e quindi
manifestavo l'intenzione di rapinarlo e quindi gli chiedevo il suo aiuto per
commettere tale fatto. Alessandro mi riferiva di essere disponibile ... abbiamo
messo a punto un piano ... avrei fissato con Luca un appuntamento ... e quindi
lui ci doveva raggiungere senza farsi scorgere e colpire Luca alla testa con un
martello e quindi rubargli il portafogli ... Alessandro, tenendosi alle spalle,
colpiva per ben due volte Luca alla testa ... aveva in mano anche un coltello
del tipo di montagna con il quale aveva colpito alle spalle Luca ..".
3. E desta meraviglia che quelle note di ravvedimento espresse dal Mandalà nel suo primo deposto alla Polizia, in un atto peraltro la cui inutilizzabilità ne travolge tutto il contenuto, non siano state in qualche modo successivamente ripetute, neppure davanti a questa Corte.-
4. Il Mandalà è stato tutta l'udienza d'appello con la testa china stretta tra le mani.-
5. La Bertelli ha affrontato questo processo di secondo grado senza dire una parola, con un apparente atteggiamento di sfida, saettando l'aria con taglienti occhiate : il personaggio nei momenti forti ritrova se stesso.