Indice ed inizio argomento "ricordo di Luca Tonello"

 

SENTENZA SECONDO GRADO CON MOTIVAZIONE

 

Udienza 21 Gennaio 2002
Sentenza n. 39/2002

N. 22/02 R.G. Assise Appello
N. 7994/00 Reg. Notizie di reato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI VENEZIA
Sezione I^

composta dai Sigg.

dott. Umberto Zampetti         -  Presidente
dott. Daniela Perdibon          -  Consigliere
sig.ra Elda Tugnoli                 -  Giudice Popolare
sig. Alessandro Pedrezzoli   -  Giudice Popolare
sig. Giorgio Cardioli              -  Giudice Popolare
sig.ra Maria Teresa Vincenzi Zocca - Giudice Popolare
sig. Alessandro Luigi Valente - Giudice Popolare
sig.ra Anna Cecilia Sordei   -  Giudice Popolare

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA

nei confronti di:
MANDALA' ALESSANDRO 
Nato a Treviso il 26.08.1974 
Appellante detenuto presso Casa Circondariale di Treviso
Detenuto dal 31.10.2000
Difensore di fiducia Avv. Rosa Parenti del foro di Treviso
                            Presente

BERTELLI ROSSANA 
Nata a Treviso il 22.01.1973 
Detenuta presso Casa Reclusione Femminile di Venezia
Detenuta dal 31.10.2000
Difensori di fiducia Avv. Gianluigi e Monica Gallina del foro di Treviso
                            Presente

Parte civile

TRONCHIN ANNA MARIA  P.C. appellante
Domiciliato presso Avv. F. Murgia di Treviso
Difensore di fiducia Avv. Francesco Murgia del foro di Treviso

 Appellanti e appellati da P.M. - P.G. - P.C.

Avverso la sentenza n. 39/2002 in data 21.01.2002 del Gip del Tribunale di Treviso contro la quale proponevano ricorso per cassazione il P.G. il P.M. convertiti in appello ex art. 580 C.P.p. che decideva:

Visto l'art. 442 c.p.p. riservati i motivi della decisione
Dichiara entrambi gli imputati responsabili dei delitti loro ascritti, unificati nel vincolo della continuazione, e conseguentemente, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, applicato l'aumento per la continuazione e la riduzione per il rito, condanna Mandalà' Alessandro alla pena di anni 16 e mesi dieci di reclusione e Bertelli Rossana alla pena di anni sedici e mesi otto di reclusione.
Condanna altresì gli imputati al pagamento delle spese processuali (comprese le spese di custodia cautelare) e alla pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Dichiara entrambi gli imputati in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena detentiva.
Condanna Mandalà Alessandro e Bertelli Rossana - in via tra loro solidale - al risarcimento dei danni alla parte civile costituita, liquidati nella complessiva somma di L. 600 milioni pari a Euro 309.874. Pone a carico degli imputati una provvisionale, immediatamente esecutiva, pari a L. 300.000.000 pari ad Euro 154.937.
Condanna inoltre gli imputati al pagamento delle spese di costituzione che si liquidano in complessive L. 12.000.000 (altre accessori di legge) pari a Euro 6.197.
Dispone la confisca e distruzione di quanto in sequestro (salve esigenze attinenti al procedimento a carico dell'originario coimputato).

 

Imputati

Entrambi
A) dei reati previsti e puniti dagli artt. 110, 575, 576 n.1 e 577 primo comma n.4 - in relazione all'art.61 n.1 - e 628 comma terzo n.1 del Codice Penale, perché in concorso con Bertazzoni Gabrio, per impossessarsi di un portafoglio contenente denaro ed altri effetti personali ed in particolare una carta di credito VISA avente n. 122996 rilasciata dalla Banca Popolare di Verona - Banco San Geminiano e San Prospero, sottraendoli a Tonello Luca che li deteneva addosso, al fine di conseguire il corrispondente ingiusto profitto ed in particolare di poter utilizzare la menzionata carta di credito, nonché per assicurarsi l'impunità dello stesso delitto di rapina, aggredivano il predetto Tonello, anche tramite una mazzetta di ferro ed un coltello da caccia, cagionandone la morte determinata da una gravissima lesione traumatica cranio-cerebrale con sfondamento-scoppio del cranio e spappolamento parziale del cervello; fatti aggravati dalla futilità dei motivi, rappresentati dal poter disporre del denaro rapinato al Tonello, e di quello che avrebbero dovuto ottenere utilizzando la carta di credito, in spese voluttuarie e divertimenti.
Casale sul Sile, località Lughignano la sera del 30.10.2001

Mandalà Alessandro
B) del reato previsto e punito dall'art. 4 comma secondo della legge 18.4.1975 n. 110 perché, senza giustificato motivo, portava fuori dalla propria abitazione la mazzetta di ferro ed il coltello da caccia di cui al capo A), strumenti atti ad offendere ed utilizzati per l'offesa di Tonello Luca nelle circostanze anzidette.
Casale sul Sile, località Lughignano la sera del 30.10.2000

 

FATTO E DIRITTO

1.    Il presente procedimento è stato definito in primo grado con rito abbreviato tipico, e pertanto può farsi legittimo riferimento a tutti i validi atti di indagine.

1.1    Riferiamo subito, in sintesi, la ricostruzione schematica generale della vicenda secondo la prospettazione accusatoria quale emerge con brutale chiarezza dal complesso delle indagini:

BERTELLI Rossana, 27enne all'epoca del fatto, aveva avuto una passata relazione con TONELLO Luca;  per affermazione peraltro della stessa Bertelli, i due continuavano saltuariamente ad incontrarsi, consumando anche rapporti sessuali e ciò pur in costanza di un nuovo rapporto che la predetta ragazza aveva nel frattempo comunque iniziato con MANDALA' Alessandro, di un anno più giovane della compagna;

Nell'Ottobre del 2000 la Bertelli, per necessità di denaro per poter effettuare piccole spese, si era rivolta al Tonello per avere qualche prestito, peraltro negato; ella allora maturava l'idea di rapinare l'ex fidanzato, coinvolgendo nell'impresa il nuovo amico; così la ragazza dava appuntamento al Tonello per la tarda serata del 30.10.2000 in una zona isolata sulle rive del fiume in località Lughignano di Casale sul Sile dove la futura vittima in effetti si presentava, raggiungendo poi a piedi la Bertelli; usciva allora dal buio il Mandalà, che era giunto con la sua auto accompagnato dal suo amico Bertazzoni Gabrio (giovane peraltro processato separatamente sotto la stessa imputazione concorsuale), ed uccideva il Tonello a colpi di martello (in realtà una mazza da muratore) sulla testa e quindi con alcune coltellate alla schiena; il corpo della vittima era trascinato fino al limite delle acque del fiume, e spossessato del portafoglio che risultò contenere poco denaro ed una carta di credito;

Successivamente, nella stessa serata, i due giovani tentavano senza successo in numerosi bancomat di prelevare denaro con la tessera appena sottratta al povero Tonello, non riuscendo in quanto la Bertelli non ricordava con esattezza il numero personale necessario per l'operazione, ed altresì si recavano a bere in un bar.-

1.2    Riferiamo ora più in dettaglio i risultati delle indagini:

a.    il cadavere di Tonello Luca, di anni 29, veniva rinvenuto verso le ore 13 del 31.10.2000 in località Lughignano di Casale, lungo l'argine del fiume Sile. Nei pressi si rinveniva anche l'auto della giovane vittima. Il corpo del Tonello presentava lesività inequivoche, eloquenti di una subita aggressione risultata letale. Venivano invero riscontrati i seguenti insulti traumatici:
- alcune ferite lacero contuse alla base del cranio, posteriormente;
- ampio squarcio del cuoio capelluto in zona frontale, con sfondamento del tavolato osseo e sottostante spappolamento cerebrale;
- sei ferite da arma da punta e taglio in zona toracica posteriore destra, delle quali tre con andamento quasi verticale, mentre le restanti con andamento opposto.
L'accertamento eseguito dal consulente medico legale del P.M. consentiva di stabilire che:
- i due colpi inferti al cranio erano stati portati con uno strumento contundente compatto e non tagliente, tipo martello;
- la sede corporea aggredita per prima era presumibilmente quella posteriore del cranio, con forza relativamente modesta;
- successivamente era stato inferto il colpo alla fronte, risultato immediatamente mortale;
- le ferite al torace erano state provocate per ultime, ma non avevano avuto concreta efficacia causale;
- il Tonello, colpito da dietro, non era stato in grado di porre in essere alcuna difesa.-

b.    Poiché la mattina stessa del ritrovamento i famigliari avevano denunciato la scomparsa del giovane, l'identificazione del cadavere fu sostanzialmente immediata, e le indagini si indirizzavano sul giro delle sue amicizie, a cominciare dalla Bertelli e dal nuovo compagno di costei (il Mandalà). Condotti in Questura, i de giovani rendevano entrambi pronta ed immediata confessione dei fatti, compresa l'ammissione di una sostanziale premeditazione della necessità omicida ai fine della rapina.-

c.    Le indagini si arricchivano quindi, già nell'immediatezza, dei seguenti elementi:
- sul luogo del delitto fu rinvenuto la mazza da muratore che il padre del Mandalà riconosceva come propria;
- a carico del Mandalà furono rinvenuti e sequestrati un maglione macchiato di sangue, risultato della vittima, ed il coltello (anch'esso con tracce di sangue);
- tracce di sangue della vittima furono trovate su un braccialetto e tracce biologiche sui pantaloni della Bertelli;
- venne ritrovato, sempre su indicazione del predetto Mandalà, il portafoglio del Tonello gettato via dopo essere stato svuotato;
- vennero assunti testi che riferivano come, al bar ove si erano recati dopo la consumazione del delitto, i tre (Mandalà, Bertelli e Bertazzoni) fossero ancora assieme e come il primo avesse i pantaloni sporchi di fango e bevesse con la mano sinistra (durante l'azione si era ferito alla destra) tanto che, nel bagno del locale, furono poi trovati asciugamani sporchi di sangue;
- vennero identificati i vari bancomat nei quali gli imputati tentarono di prelevare denaro con la tessera della vittima in orario immediatamente successivi alla sua uccisione;
- vennero acquisiti i tabulati telefonici con i tracciati delle telefonate intercorse quella sera tra i rispettivi cellulari (la Bertelli aveva chiamato prima il Mandalà, poi il Tonello e quindi di nuovo il Mandalà).-

1.3    In relazione a quanto sopra, si procedeva dunque a carico di MANDALA' Alessandro, BERTELLI Rossana e BERTAZZONI Gabrio in ordine ai reati di concorso in rapina aggravata (art. 628, comma 3° n. 1, Cp) ed in omicidio volontario in persona di Tonello Luca aggravato dal nesso teleologico con il reato di rapina e dai futili motivi (artt. 575, 576 n. 1, 577, 1° comma n. 4, Cp), come specificati in rubrica al capo A), ed a carico del solo MANDALA' anche in ordine alla contravvenzione di cui all'art. 4 L. 110/75 per il porto ingiustificato della mazzetta da muratore e del coltello poi usati per la mortale aggressione alla vittima (capo B).-
        Le dichiarazioni degli imputati - per quanto riguarda Mandalà e Bertelli che qui ci interessano - sono state raccolte prima a sommarie informazioni testimoniali presso la questura, poi davanti al Gip in sede di convalida e poi nel corso di un sopralluogo sulla riva del fiume, presenti i difensori, in un contesto ricostruttivo della dinamica.-
        La nullità della relativa notifica comportava poi la separazione della posizione del Bertazzoni che, come si è già detto, viene giudicato separatamente.-
        Il procedimento proseguiva pertanto per gli altri due imputati - attuali appellanti - con il chiesto ed ammesso rito abbreviato.-

1.4    Nel procedimento Tronchin Anna Maria, madre della vittima Tonello Luca, si costituiva in parte civile.


2.    Con sentenza 21.01.2002 (depositata in data 01.03.2002) il Gup presso il Tribunale di Treviso :

a.    dichiarava i due attuali imputati colpevole di tutti i reati loro ascritti, ritenuto vincolo di continuazione tra gli stessi;

b.    riconosceva a ciascuno concorso di circostanze attenuanti generiche valutate equivalenti alle aggravanti, ritenute come contestate;

c.    condannava, previa riduzione per il rito, il MANDALA' alla pena di anni 16 e mesi 10 di reclusione e la Bertelli a quella di anni 16 e mesi 8;

d.    dichiarava i predetti due imputati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena detentiva;

e. li condannava in solido al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile liquidati in Euro 309.874, imponendo provvisionale immediatamente esecutiva in Euro 154.937, oltre alle spese di lite;

f. ordinava confisca e distruzione di quanto in sequestro.

2.1    Le predette statuizioni erano motivate come segue :
2.1.a    Quanto alla ricostruzione del fatto ed al conseguente giudizio di responsabilità, il Gip basava il suo convincimento sul complesso degli elementi raccolti che consegnavano il quadro inequivoco del sicuro coinvolgimento dei due imputati nei termini sostanziali sopra ricordati. Dopo aver accennato ad una possibile partecipazione materiale anche del Bertazzoni (per la sua maggiore complessione fisica) e ritenuto di scarso rilievo il dubbio se anche la Bertelli abbia inferto alcune coltellate, il primo giudice concludeva sul punto assumendo la maggiore concordanza delle prime dichiarazioni, rispetto alle successive più edulcorate, con gli obbiettivi esiti di indagini e consulenze. Era certo, in definitiva, che vi era stato un previo disegno di agguato per rapina che prevedeva aggressione inevitabilmente mortale perché altrimenti sarebbero stati inesorabilmente riconosciuti e quindi denunciati.-
2.1.b    Quanto alle ritenute aggravanti, il primo giudice riteneva pacifica quella della connessione teleologica con il reato di rapina, e sussistente anche quella dei motivi futili individuati nello scopo di ricorrere a così gravi delitti per procurarsi denaro - poi rinvenuto in ben misera entità - da spendere in discoteca o per acquistare stupefacenti.
2.1.c    Quanto alle riconosciute attenuanti generiche, le stesse erano fondate su giovane età ed incensuratezza e, quanto al Mandalà, sul fatto che egli svolgesse regolare attività lavorativa. Il primo giudice valorizzava poi, allo stesso fine, sempre con riferimento ad entrambi, l'immediata resa confessione giudicata "rivisitazione critica delle proprie scelte" e svilendo il significato dei successivi ridimensionamenti nelle rispettive dichiarazioni, giustificandole con il prevalere di "ragioni oggettive di difesa".
Il giudizio di equivalenza tra riconosciute aggravanti e ritenute attenuanti era in null'altro basato che nella invero apodittica affermazione dell'idoneità delle seconde a controbilanciare le prime.-
2.1.d    Quanto alla misura sanzionatoria, premesso il sicuro vincolo di continuazione tra tutti i reati, la stessa era fissata per entrambi gli imputati per il graviore reato di omicidio volontario nel massimo edittale (con equivalenza di circostanze) di anni 24 di reclusione, tale stabilità in rapporto sia alle significative relazioni con la vittima, sia alla micidialità degli strumenti operativi. L'aumento per i reati in continuazione era ritenuto congruo in anni 1 per la rapina ed in mesi 3 per il reato di cui al capo B). Sulle pene come risultanti (anni 25 per la Bertelli, anni 25 e mesi 3 per il Mandalà) era poi detratto un terzo di legge ex art. 442 Cpp per la scelta del rito, così da definirsi le anzidette pene concrete.
2.1.e    Quanto al risarcimento del danno, in mancanza di elementi che provassero una diminuzione patrimoniale in capo alla madre del Tonello, lo stesso era ritenuto solo di natura morale e quindi veniva liquidato unitamente alle spese come da dispositivo.-

3.    L'anzidetta sentenza era fatta oggetto di impugnazione da parte degli imputati, del Procuratore Generale presso questa Corte e del Procuratore della Repubblica presso il giudice di primo grado.-

3.1    Il Procuratore Generale proponeva ricorso per cassazione, convertito in appello a seguito del contestuale gravame difensivo, lamentando la violazione degli artt. 133 e 62 bis Cp ed illogicità e carenza motivazionale dell'impugnata sentenza. Ed invero - sostiene il P.G. - la decisione, dopo aver evidenziato elementi di particolare disvalore (una sostanziale premeditazione, ancorché non contestata; particolare ferocia nell'esecuzione; freddezza e determinazione anche nella fase successiva al delitto), riconosce ad entrambi gli imputati le attenuanti generiche motivate con argomenti (la giovane età, l'incensuratezza e la condotta processuale) che l'impugnante deduce come o insussistenti o privi di reale valore. In particolare l'età dei due imputati non può dirsi tale da non aver consentito sufficiente maturazione, mentre la condotta processuale, lungi da essere stata produttiva e collaborativa, o indice di ravvedimento, si è sempre più spostata verso tesi di comodo lontane dalla realtà storica. In definitiva le attenuanti generiche, se riconosciute, dovevano essere ritenute non più che subvalenti rispetto alle sussistenti aggravanti.

3.2    Il Procuratore della Repubblica presso il giudice di primo grado parimenti proponeva ricorso per cassazione, anch'esso convertito in appello, lamentando l'illogicità della motivazione dell'impugnata sentenza laddove questa dichiarava l'equivalenza delle riconosciute attenuanti generiche basate su elementi quali l'incensuratezza e la giovane età, senza considerare i precedenti di polizia (per entrambi) e la raggiunta sufficiente maturazione psichica, e disattendo chiari elementi negativi quali la proditorietà dell'aggressione, l'alta intensità del dolo evidenziata dalla pluralità dei colpi inferti, la freddezza dimostrata post factum e la futilità dei motivi, ed infine l'incongruenza e le contraddizioni della condotta processuale, così in definitiva chiedendo che solo un giudizio di subvalenza delle generiche rispetto alle pur riconosciute aggravanti venga ritenuto immune dai prospettati vizi.-

3.3.1    L'imputata BERTELLI Rossana proponeva appello deducendo ed invocando:
a.    in rito l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla P.G. il 31.10.2000, perché rese in difetto di copertura difensiva pur essendo autoaccusatorie; di quelle rese, pur in sede di interrogatorio e pur con presenza difensiva, davanti al Gip il 03.11.2000 e davanti al P.M. il 12.12.2000 perché retroattivamente colpite dalla L. 01.03.2001 n. 63 in quanto comunque non completamente rispettose del nuovo dettato dell'art. 64 Cpp (nel sostenere tale quadro, la difesa appellante peraltro assume, accetta ed ammette la piene utilizzabilità dell'interrogatorio reso in sede di esperimento giudiziale 21.06.2001);
b.    in merito al delitto di omicidio, l'appellante assume che "la presenza della ragazza sul luogo ed al momento del delitto non può significare assolutamente nulla" non essendo stato chiarito quale sia stato il ruolo di essa Bertelli, quanto alle armi usate per l'uccisione, si sostiene : a. la mazzetta apparteneva al Mandalà e non reca impronte della ragazza; b. il coltello reca si impronte della Bertelli, ma si tratta di tracce minime e quindi incerte, e comunque, per la loro disposizione, dimostrative eventualmente di averlo preso in mano ma non di averlo impugnato in senso offensiva; quanto poi ai liquidi biologici rinvenuti sui pantaloni di essa appellante, si tratta di tracce minime probabilmente da contatto (con il coimputato o con il portafogli della vittima) e non per investimento diretto. In conseguenza si chiede l'assoluzione dal reato di omicidio, sostenendosi che essa Bertelli avrebbe voluto solo la rapina (che si doveva attuare diversamente da come poi realizzata e cioè a viso coperto : così si sostiene risultare nell'unica deposizione utilizzabile). Tale affermazione è confortata con gli esiti delle indagini - ivi comprese le consulenze - che non darebbero un ruolo attivo alla ragazza.
c.    in subordine si chiede volersi applicare la diminuente di cui all'art. 116 Cp per aver voluto un reato diverso e di conseguenza doversi escludere le contestate aggravanti in quanto incompatibili con l'ipotesi del concorso anomalo.
d.    in punto pena comunque volersi ridurre la sanzione, anche per equilibrarla rispetto alla maggior responsabilità del Mandalà.-

3.3.2 Con atto datato 25.09.2002 la difesa della Bertelli produceva una memoria con la quale ribadiva le tesi difensive già esposte nella motivazione dell'appello ma soprattutto contrastava l'impugnazione dei rappresentanti dell'accusa, sostenendo che tali gravami sarebbero inammissibili in quanto volti a censurare il merito dell'impugnata decisione e non propongono doglianze di legittimità, e comunque infondati posto che il primo giudice avrebbe correttamente ed adeguatamente motivato la propria valutazione fondativa delle riconosciute attenuanti generiche e della ritenuta equivalenza.-

3.4   L'imputato MANDALA' Alessandro a sua volta proponeva appello sostenendo:
a.    in ordine al reato di omicidio volontario, volersi derubricare ad omicidio preterintenzionale : sostiene questo appellante che l'accordo con la Bertelli era "per colpire e rapinare" il Tonello e che dunque non avrebbe preso atto il primo giudice che esso Mandalà avrebbe inferto il colpo mortale solo perché era stato preso dal panico dopo i gridi della vittima seguenti al primo colpo; però poi si aggiunge che la stessa sentenza, così come il consulente, lasciano aperta l'ipotesi che il colpo più forte, quello alla fronte, sia stato inferto dal secondo uomo, circostanza proposta ma poi dimenticata dal Gup; in sostanza la volontà era diretta solo a stordire con il primo colpo, più modesto, e dunque si ribadisce la chiesta derubricazione alla minore figura preterintenzionale;
b.    in subordine, quanto al trattamento sanzionatorio, premesse considerazioni generali e giurisprudenziali sull'istituto, si osserva come il ragionamento del primo giudice (giovane età, incensuratezza e confessione) avrebbero dovuto condurre a valutazione di prevalenza delle attenuanti, con riduzione della pena ai minimi di legge.-

4.    All'odierna udienza camerale di questa Corte, presenti e detenuti gli appellanti imputati, presente la parte civile, resa la rituale relazione, all'esito le parti concludevano come da verbale in atti.-

5.    Osserva la Corte come l'impugnata sentenza regga a tutte le critiche mosse da accusa e difesa. I contrapposti gravami risultano invero infondati e vanno quindi disattesi, con le conseguenze di legge.-
Esamina la Corte, in ordine logico, prima l'eccezione difensiva di inammissibilità della duplice impugnazione dell'accusa, quindi il merito delle diverse doglianze come sopra proposte.-

5.1    L'ammissibilità delle impugnazioni di P.M. e P.G.-
        Le eccezioni mosse dalle difese, sia nei loro atti formali che nelle odierne conclusioni orali, non hanno pregio.
        E' bensì vero che l'accusa, a fronte di sentenza emessa a seguito di rito abbreviato che sia di condanna e non abbia operato mutamento della qualificazione giuridica (come nel caso presente), non ha diritto all'appello, secondo il dettato, la cui costituzionalità è stata di recente ribadita, dell'art. 443.3 Cpp.
        E' pacifico peraltro che la medesima accusa, in tal caso, conserva il diritto al ricorso per cassazione. Tale impugnazione, unica esperibile, conserva natura e contenuto di ricorso in termini, e limiti, di legittimità.
        Di conseguenza, ove vi sia contemporanea presentazione di atti di impugnazione in appello da parte di altri soggetti processuali legittimati, come gli attuali imputati, il ricorso dell'accusa si converte in appello, secondo la regola dettata dall'art. 580 Cpp.
        In tal caso il giudice dell'appello deve eseguire, sul ricorso dell'accusa, un duplice successivo vaglio : in un primo momento valutare la dedotta asserita violazione in termini di legittimità; superato positivamente tale primo vaglio, in un secondo momento scendere al giudizio di merito quale si sarebbe dovuto eseguire sulla base della corretta applicazione delle norme invocate.
        Orbene, su tale impianto processuale si colloca l'eccezione difensiva che lamenta non avere le doglianze del P.M. e P.G. le necessarie connotazioni di legittimità.
        L'assunto è infondato.
        Rileva invero la Corte come sia l'impugnazione del Procuratore della Repubblica di Treviso che quella del Procuratore Generale di Venezia si caratterizzano entrambe per un'insita prospettazione di legittimità, asseritamene violata. E' bensì vero che le due doglianze di necessità involgono anche valutazioni di merito, segnalando i profili di fatto che (a loro avviso) avrebbero dovuto imporre diversa conclusione in punto di giudizio di bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti, ma è di tutta evidenza che le deduzioni sono principalmente informate ai rituali vizi di legittimità, dei quali si chiede invero la rimozione. Il P.G. denuncia vizio di illogica e contraddittoria motivazione sul punto (deducibile in cassazione ai sensi dell'art. 606, 1° co., lett. e, Cpp) ed il P.M. parimenti invoca la manifesta illogicità, risultante dal testo del provvedimento impugnato, sullo stesso passaggio motivazionale, così decisamente investendo il giudice di legittimità con ricorso dunque ammissibile nei termini appena sopra ricordati.
        Respinta dunque siffatta eccezione preliminare, e dichiarata la ritualità delle due impugnazioni dell'accusa, la loro valutazione in concreto ed in fatto va peraltro rimandata alla successiva parte motiva, ovviamente dopo aver vagliato i due gravami defensionali.-

5.2    La questione di rito proposta dalla Bertelli
        Prima di entrare nel merito dei fatti e delle relative valutazioni, occorre peraltro preliminarmente vagliare la questione di inutilizzabilità che la difesa della predetta imputata propone. La pecularietà di ogni eccezione relativa all'utilizzabilità degli atti è invero proprio quella di imporre una preliminare valutazione delimitativa delle prove utilizzabili, e dunque di stabilire gli strumenti validi per l'accertamento richiesto dall'ipotesi accusatoria.
        Orbene, le prospettazioni difensive sono senz'altro fondate nei limiti seguenti.
        Non c'è dubbio che sono affette da nullità assoluta ed insanabile, rilevabile in ogni stato e grado, anche d'ufficio, le dichiarazioni raccolte a sommarie informazioni testimoniali, in assoluto spregio dei diritti difensivi, dalla p.g. (Questura di Treviso) nell'immediatezza dei fatti (vedasi nota 1). Si tratta di dichiarazioni, sia della Bertelli che del Mandalà, ampiamente confessorie che dunque imponevano la loro inevitabile interruzione per la convocazione di un difensore (e successiva prosecuzione). Si tratta della ben nota nullità mortale di cui all'art. 178, lett. c, Cpp in relazione al disposto dell'art. 63 Cpp che peraltro espressamente sancisce di inutilizzabilità le dichiarazioni assunte nel dispregio della necessaria copertura difensiva. Non resta dunque che prendere atto, amaramente, di tutto ciò (vedasi nota 2).
        Analogo destino va riservato alle dichiarazioni, ampiamente auto ed etero accusatorie, rese dai due imputati al Gip il 31.10.2000 (convalida), il 03.11.2000 e davanti al P.M. il 12.12.2000, pur con la necessaria copertura difensiva, per essere retroattivamente colpite da inutilizzabilità ai sensi della L. 01.03.2001 (che ha così travolto il principio tempus regit actum).
        Trattandosi di inutilizzabilità imposta ex lege, essa coinvolge anche il Mandalà che pur non la invoca, e per il comma 3 bis dell'art. 64 Cpp quale ora risultante, tali dichiarazioni non sono valutabili neppure per quanto riguarda "fatti che concernono la responsabilità di altri" (e dunque neppure in funzione di chiamata in correità).
        I gravi fatti vanno quindi ricostruiti sulla base degli altri elementi di causa.
        Per amore di verità, comunque, ve ne sono.-

5.3    L'omicidio e la compartecipazione criminosa.
        Le risultanze processuali utilizzabili ed una corretta valutazione logica d'insieme impongono la conferma della piena colpevolezza concorsuale dei due attuali imputati in ordine ai gravi fatti loro ascritti.
        Osserva la Corte come sia pacifica e condivisa tra le parti la piena utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal Mandalà e dalla Bertelli nel corso dell'esperimento giudiziale e sopralluogo effettuato dal Gip in data 21.06.2001, alla presenza dei rispettivi difensori e nel completo dispiegarsi di tutte le formalità ed incombenze garantistiche imposte dalla vigente normativa.
        Orbene tali dichiarazioni, le uniche utilizzabili, contengono la piena confessione ad opera del Mandalà (che invero non devolve in appello il punto responsabilità) ed elementi precisi a carico della Bertelli che, uniti ad altri emergenti dagli atti, pienamente utilizzabili (anche in virtù del rito abbreviato), conducono alla di lei tranquillante condanna.
        Ed invero in tale atto il Mandalà, pur in un contesto evidentemente riduttivo rispetto alle precedenti più ampie dichiarazioni (quelle dichiarate inutilizzabili) ricostruisce il delitto in modo pienamente autoaccusatorio, fornendo elementi (ben utilizzabili e riscontrabili) a carico della Bertelli. Costei, del resto (sempre nel verbale di tale esperimento - sopralluogo) ammette il reato di rapina aggravata e non nega in definitiva - ancorché tenti di prendere le distanze - un coinvolgimento nell'omicidio pur non avendo in esso materialmente maneggiato le armi.
        Tali elementi di valutazione, risultanti dalle dichiarazioni rese nel predetto esperimento giudiziale del 21.06.2001, trovano per la Bertelli un robustissimo conforto accusatorio in un atto sicuramente proveniente dalla stessa e di rilevante - ed assolutamente non sospetto - contenuto autoaccusatorio.
        Si tratta di una missiva (agli atti a f. 263/A del faldone 2°) a firma "Rossana" proveniente da Belluno - luogo della di lei detenzione carceraria - datata "2 novembre 2000" dunque tre giorni dopo i fatti) ed indirizzata all' <Ispettore Capo Schirru Salvatore - Squadra Mobile - Questura TREVISO> (colui che, insieme ad altri agenti, l'aveva arrestata). Il tono confidenziale giovanile induce a ritenere o una probabile previa conoscenza tra i due, ovvero l'uso di un linguaggio assolutamente informale da parte della ragazza (del resto conforme alla di lei personalità quale emerge dagli atti). Sta di fatto, comunque, ed è quello che massimamente interessa a questi fini, che la giovane arrestata nel corso della lettera - pur in un evidente tentativo di dare la migliore immagine di se stessa - lascia trapelare ed anzi finisce per esprimere considerazioni ampiamente ammissorie anche di un previo disegno concordato con l'attuale coimputato.
    Leggiamo : " ...Non riesco a riconoscermi in quello che è successo, anzi in quello che ho fatto. Guardo incredula tutti i telegiornali. So che la colpa è mia, ma non totalmente, anche perché mi sono convinta che il più che è successo non l'ho commesso io .......Dille soprattutto (con riferimento ad una sua amica, tale Laura, che lo Schirru avrebbe dovuto contattare, n. d. e.) che se sono io quella che ha ingegnato tutto non sono io che l'ho ucciso".
   
     Orbene, non è chi non veda che siffatta missiva, della cui genuinità ed immediatezza nessuno può dubitare, si trova in pieno - in termini ammissori - tutto l'impianto del delitto come già evidenziato nel complesso verbale dell'esperimento giudiziale.
        La Bertelli riconosce che "quello che ho fatto è colpa mia" perché è lei che "ha ingegnato tutto", ma propone un ridimensionamento del suo ruolo perché "il più che è successo non l'ho commesso io.....non sono io che lo ho ucciso", cioè ricorda che la fase aggressiva materiale è stata eseguita dal complice. Il collegamento giuspenalistico tra l'ideazione concordata (ho ingegnato tutto) e l'evento pur materialmente realizzato dal complice (non sono io che l'ho ucciso) non è evidentemente nelle sue possibilità, ma non le sfugge di certo il risvolto soggettivo di un quadro dal quale non le è più possibile evadere (non riesco a riconoscermi in quello che è successo..... è colpa mia).
        La corrispondenza con le posizioni alla fine emerse nel corso dell'esperimento è di tutta evidenza; il riscontro è forte e completo.
        Ma è di rilevante importanza ricostruire le due personalità. sul rilievo che un delitto di tanto momento necessariamente si inscrive nei personali percorsi psicologici. Orbene non è chi non veda come anche tale fondamentale prospettiva conduca alla stessa conclusione. Si tratta invero di un delitto a due (quanto meno) che vede la Bertelli come anello di congiunzione con la vittima. Era lei che aveva rapporti con il Tonello, e non solo generici, ma anche ed ancora intimi (pur avendo il nuovo legame con il Mandalà). Solo lei dunque avrebbe potuto dare appuntamento alla vittima che fosse credibile, anzi gradito. Se si fissa l'appuntamento, anzi si va assieme, sulla riva del fiume, in un luogo isolato, non è certo per contare le stelle. Solo la Bertelli poteva indurre a tanto il Tonello, che è miseramente caduto nel tranello - agguato teso dalle arti femminili dell'imputata. Dunque la Bertelli è momento ineliminabile del piano operativo, in quanto essenziale al suo "buon esito".
        Ma vi è anche il rapporto con il Mandalà. La sussistenza di una relazione psicologica del tipo incube - succube è di indiscutibile evidenza. La complicità fattuale e giuridica nasce già come complementarietà psicologica.
        La ragazza non solo è l'anello di congiunzione con la vittime, ma appare sufficientemente leader nella coppia, tale da trascinare il nuovo amico al delitto, un crimine che di necessità doveva realizzarsi con una ineliminabile compartecipazione (lei conduce il Tonello in prospettiva di appartarsi, e lui l'aggredisce da dietro, come in effetti è stato). Il soggetto psicologicamente forte (la Bertelli) convince e trascina il complice psichicamente più indifeso (il Mandalà) e lascia a quest'ultimo il lavoro sporco.
        Classico schema, ancora una volta tragicamente rappresentato da giovani dalla personalità labile e dalla socializzazione incerta.
        Schema che, sia pur inconsapevolmente, c'è già tutto nella sopra riportata missiva della Bertelli : non riesco a riconoscermi....la colpa è mia....ho ingegnato tutto io...non sono io che l'ho ucciso.-
       
Ancora poche parole, allora, per disattendere la tesi difensiva secondo cui l'asserita <mera presenza> della Bertelli sul luogo del delitto non basterebbe a delineare la responsabilità dell'imputata. Non si tratta invero di presenza inerte e inutile.
        E' costei che ha teso l'agguato, dando l'appuntamento, altrimenti il Tonello non sarebbe andato in un luogo così appartato; è costei che doveva garantire la presenza in luogo, altrimenti la vittima non si sarebbe trattenuta e si sarebbe insospettita; è costei, e solo lei, che infine poteva attrarre l'attenzione ingenua del Tonello per consentire una più facile, e proditoria, aggressione da dietro.
        Di più : è la Bertelli che telefona al Mandalà (ore 19,33 del 30 Ottobre) per prendere accordi; è sempre lei che telefona al Tonello (ore 20.09 dello stesso giorno) per confermare l'appuntamento - agguato; è ancora la Bertelli che richiama il Mandalà (ore 20,35) per conferma : elementi tutti, questi, non contrastati dagli appellanti nei loro motivi.
        E' lei che crede di sapere il numero di bancomat della vittima, suo ex fidanzato, e tenta - in successive e continuate volte - di prelevare denaro e così trarre profitto dal delitto. Non è questa la condotta di chi abbia "assistito inerte" ad un delitto atroce che non le apparteneva.
        Ce n'è quanto basta.

5.4    Le richieste subordinate della Bertelli
   
     L'imputata Bertelli in via subordinata richiede l'applicazione in suo favore della diminuente speciale prevista dall'art. 116 Cp (c.d. concorso anomalo) per avere voluto un reato minore (la rapina) ed ancora - ove accolta tale tesi - l'esclusione delle aggravanti ritenute di primo grado (nesso teleologico con la rapina stessa e futili motivi) in quanto incompatibili con la figura del concorso anomalo.
        La richiesta volta al riconoscimento dell'anzidetta diminuente speciale non è fondata. Va invero premesso che la pacifica ed ormai consolidata giurisprudenza di legittimità esclude il concorso anomalo ogni volta che, pur anche ammesso un accordo per il reato minore, tuttavia le preventivamente conosciute circostanze e modalità operative devono indurre a riconoscere almeno un dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale), caso in cui permane l'ambito di applicabilità del concorso comune ex art. 110 Cp. Non si verte dunque nel concorso anomalo ogni volta che l'evento più grave non sia fatto imprevedibile ed atipico, ma rientri nel normale ed accettato, almeno a livello di dolo eventuale, sviluppo dell'azione. In ogni concordata rapina, la cui realizzazione transita inevitabilmente attraverso l'uso della violenza contro la vittima designata, la possibilità che la stessa trasmodi in fatto di sangue più grave è insita nei fatti, e dunque sviluppo prevedibile ed accettato. Abbiamo visto come - pur dichiarati inutilizzabili i primi atti non garantiti - emerga dal verbale di esperimento giudiziale un quadro sufficientemente preciso che consente la conclusione di un previo accordo tra i due imputati anche nell'uso, quanto meno genericamente, di strumenti contundenti e lesivi. Ricordiamo ora come sia stato rievocato, senza contrarietà sul punto, e dunque con ciò smentendo le successive proteste di minor coinvolgimento, la sostanzialmente congiunta estrazione del martello (mazzetta da muratore) dall'auto con era l'imputato giunto, operazione che non solo non destava alcuna perplessità o sorpresa in capo alla Bertelli, ma che la confermava nell'attuazione del piano concordato.
        Leggiamo il Mandalà "Io presi la mazzetta dal cofano e la Bertelli vide questo e la nascosi sui pantaloni davanti. Si". Poi i due si avvicinano al Tonello che era rimasto un momento a parte (pare a fumare, forse uno spinello). La ragazza, in questa fase, fa alcuni passi assieme al suo complice palesemente armato di martello. La Bertelli, qualche passo più avanti, riprende quindi la compagnia della vittima. Allora, secondo gli accordi, sopraggiunge il Mandalà ed esegue il crimine. Questa ricostruzione dei momenti cruciali emerge praticamente concorde e sovrapponibile e non può essere in alcun modo misconosciuta.-
        La negatoria della ragazza sull'arma, così come la prospettata sorpresa, è dunque improponibile. Come tale va respinta.
        Con ciò anche la richiesta di un insostenibile concorso anomalo.

5.5    La derubricazione chiesta dal Mandalà.
        Nessun pregio riveste la richiesta subordinata, avanzata dalla difesa del predetto imputato, di qualificare il fatto commesso omicidio preterintenzionale, ai sensi dell'art. 584 Cp.
        Ad escludere siffatta minore prospettazione valgono le sopra riferite modalità esecutive, come pacificamente accertate, che indicano l'evento morte essere stato direttamente ed insistentemente voluto e cercato, sia dapprima con i colpi di martello in testa, che successivamente con le coltellate al torace della parte lesa.
        Quanto ai primi, la duplicità di azione e la violentissima forza impressa nel colpo mortale, portato alla fronte della vittima, già da soli indicano come non si intendesse semplicemente "percuotere" il povero Tonello, ma si volesse direttamente sopprimerlo.
        Quanto alle seconde, le stesse - per quanto in sé non mortali, perché la precedente martellata in testa già lo era stata - ampiamente dimostrano che l'evento morte era decisamente ricercato come effetto della complessa azione, ad ogni costo.
        In definitiva l'animus necandi è ampiamente dimostrato dalla contemporanea presenza, nell'azione delittuosa, di tutti i principale parametri richiesti dalla giurisprudenza : idoneità degli strumenti operativi (pesante martello e coltello); zone vitali prese di mira (capo e torace); ripetizione insistita dei colpi (in totale almeno otto); adeguatezza del movente (rapinare e non farsi denunciare, essendo conosciuti alla vittima).
        A nulla rileva, pertanto, la protesta del Mandalà secondo cui l'accordo con la Bertelli sarebbe stato limitato a colpire e rapinare il Tonello, posto che - pur in siffatta prospettiva - il colpire non escludeva certo, nella descritta situazione, l'esito più grave almeno quale normale ed accettato sviluppo dell'azione.
        Peraltro è di tutta evidenza che poco conta, per l'esecutore materiale, un eventuale minore accordo con la complice, posto che poi l'azione concretamente messa in atto è stata connotata dalle caratteristiche sopra evidenziate supportate da sicuro dolo omicidiario diretto. Del resto lo stesso Mandalà, nel suo atto di gravame, laddove pur propone la tesi ora esaminata, non nega - anzi implicitamente ammette - un animus necandi quale dolo superveniens. Ed invero, dopo aver apertamente affermato che il primo colpo (quello portato alla nuca del Tonello) sarebbe stato inferto senza intenzionalità mortale, proprio perché teso solo a stordire la vittima, poi sostiene che i successivi colpo sarebbero stati determinati dal suo stato di panico, in seguito alle urla della vittima. Orbene, non è che non veda come, in siffatta descrizione dei momenti psicologici, la tesi del preterintenzionale rimanga definitivamente esclusa, atteso che il panico che avrebbe attanagliato il Mandalà a sufficienza innesca - ove pure non fosse stata preesistente - la volontà omicida quale dolo (almeno) d'impeto ed il movente di evitare la denuncia quale causale drammaticamente nel concreto inveratasi.
        L'ultima prospettazione, infine, laddove si lamenta che il Gup avrebbe pretermessa la possibile partecipazione materiale del terzo giovane (il Bertazzoni) che pur era stata ipotizzata dal consulente del P.M., non può che naufragare a fronte della sopra riportata ampia e circostanziata ammissione della propria condotta personale, ribadita da ultimo - come si è appena ricordato - perfino nell'atto di impugnazione.

5.6    La sanzione. L'impugnazione dell'accusa 
        Dovendo ora la Corte stabilire la misura sanzionatoria equa e congrua per i due imputati, occorre di necessità congiuntamente esaminare le contrapposte doglianze, di accusa e difese, sul punto.
        Si è già ritenuta l'ammissibilità dell'impugnazione di P.M. e P.G.-
        Valutando ora il merito di tali gravami accusatori, rileva la Corte come se è vero che il giudizio di equivalenza fatto dal primo giudice è praticamente non motivato, non meritano peraltro censura né i fondamenti delle riconosciute generiche, né l'anzidetta equivalenza che, nella sostanza e meglio motivando, appare a questa Corte complessivamente ragionevole confermare (come in appresso si dirà).
        Infondati sono di contro entrambe le doglianze difensive in punto pena, sia quando richiedono prevalenza delle riconosciute generiche, sia quando invocano riduzione comunque della sanzione irrogata.
        Una prima considerazione appare inevitabile, ed è quella della gravità dei reati per l'ideazione (a danno di un pregresso amico della ragazza), per la motivazione ultima (soldi da spendere in piccole spese o frivolezze), per l'agguato (che ben avrebbe potuto legittimare premeditazione), per l'ammiccamento sessuale ed infine, ma non in importanza, per la crudeltà dell'esecuzione.
        Ciò giustifica ampiamente la determinazione della pena base nel massimo delle pena edittale per il reato di omicidio semplice (anni 24).
        Venendo agli elementi più strettamente soggettivi, una prima considerazione deve questa Corte esprimere ed è lo sconfortante vuoto personologico che il delitto manifesta in capo agli imputati e che la loro stessa condotta processuale ribadisce. Non un segno di resipiscenza, non un accenno a qualche valore umano e sociale da proporre come indice di (migliore) personalità, ad isolare il delitto nel ruolo e nel luogo di una follia isolata, di una vicenda unica ed irrepetibile, in qualche modo lontana dal loro vero essere. Né le difese hanno in qualche modo cercato di riempire siffatto vuoto. Resta l'amaro sospetto che proprio nessuno aveva qualcosa di buono, o di meno doloroso, da offrire alla riflessione della Corte, pur a fronte di appelli dell'accusa proprio in tema di valutazione complessiva della personalità, al di là dell'atroce delitto (vedasi nota 3).
        Dunque nessun elemento proposto di migliore valutazione. Dobbiamo però, in un certo senso d'ufficio, ricordare che, oltre alla giovane età ed all'incensuratezza, qualche spunto di buona (o meno grave) considerazione va tratto :
-    quanto al Mandalà, dal fatto che egli aveva all'epoca un onesto lavoro e, in ordine alla determinazione psicologica, dal fatto che egli sia stato con una certa evidenza indotto e quasi trascinato dalla complice al delitto; la sua colpa principale è stata quella di non aver saputo o voluto contrastare la ragazza che, in buona sostanza, lo stava portando per mano in una via senza uscita; a suo favore va poi positivamente valutata la resa confessione, ferma mantenuta nonostante qualche incertezza e piccolo ridimensionamento (vedasi nota 4);
-    quanto alla Bertelli, su cui pure grava ideazione e determinazione dell'impresa criminosa, ed alla quale non può certo giovare più di tanto non avere inferto martellate al Tonello, qualche spunto per ritenere un suo larvato ripensamento può essere tratto proprio dalla lettera allo Schirru di cui sopra si è detto ("mi dispiace per quel ragazzo che è morto...non so se avrò più il coraggio di farmi vedere") : certo non è molto, ma sono anche da rimarcare, essendo essi di tutta evidenza, i limiti formativi morali/culturali dell'imputata, limiti che - con tutta probabilità - risalgono anche alla famiglia di origine ed all'ambiente, e dunque non sono rinviabili alla sua sola responsabilità personale (vedasi nota 5).
        Il reato dunque si inscrive in uno stile di vita, nel senso di una insostenibile leggerezza per i valori anche elementari, annegati in un quotidiano procedere che dà più spazio al futile e facile (e ciò appare vero specie per la Bertelli) e non sa trovare un equilibrio sul quale fondarsi.
        Ma i sopra ritrovati elementi di miglior (meno grave) considerazione consentono la conferma dell'equivalenza, ma non più, anche per consentire una pena concreta che apra spiragli di rieducazione, in carcere e nel futuro post carcerario, ai due giovani condannati.
        Va respinta quindi la richiesta di prevalenza contenuta nei gravami difensivi.
        Va disattesa altresì la richiesta della Bertelli di ottenere un trattamento sanzionatorio leviore di quello del coimputato, e ciò per le argomentazioni sopra espresse (responsabilità ideativa e di agguato, nonché maggior peso psicologico nella determinazione di coppia) che impediscono di valutare favorevolmente il fatto di non aver maneggiato le armi del delitto (e respinta, ovviamente, la pretesa di aver voluto reato minore).
        Non vi è gravame sull'entità delle pene inflitte a titolo di continuazione, peraltro da ritenere eque e congrue in relazione ai parametri tutti indicati dall'art. 133 Cp.
        In definitiva le pene, principali ed accessorie, irrogate in primo grado devono essere confermate.

6.        La conferma della concorsuale colpevolezza di entrambi gli imputati comporta, in ordine ai reati di cui al capo A) della rubrica, la loro condanna, in solido, al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile. Nessuna specifica doglianza è stata proposta dagli appellanti sul punto. Devono quindi trovare conferma le statuizioni della impugnata sentenza concernenti gli interressi risarcitori.
        Consegue altresì che i due imputati debbano essere condannati, sempre con vincolo solidale, alla rifusione in favore della costituita P.C. delle spese di lite che, per il presente grado di giudizio, valutati difficoltà della causa ed impegni professionale, nonché a mente della vigente tariffa professionale, si stima di determinare e liquidare come da dispositivo.-

7.        La reiezione completa dei proposti appelli comporta, ai sensi dell'art. 592 Cpp, la condanna delle parti private soccombenti al pagamento delle spese processuali anche del presente grado di giudizio.-

P.Q.M.
LA CORTE D'ASSISE D'APPELLO
SEZIONE PRIMA

Visti gli artt. 592 e 605 Cpp,

conferma

la sentenza 21.01.2002 del Gup del Tribunale di Treviso emessa nei confronti di MANDALA' Alessando e BERTELLI Rossana appellata dai predetti imputati, dal Procuratore Generale e dal Procuratore della Repubblica di Treviso.-
        Condanna il Mandalà e la Bertelli al pagamento in solido delle spese processuali del presente grado di giudizio.-
        Condanna ancora i predetti due imputati in solido alla rifusione delle spese della Parte Civile che, per il presente grado di giudizio, liquida in 1.500= Euro, oltre il 10 per cento forfettario per spese, IVA e CPA come per legge.-
Visto l'art. 544 Cpp,
Ritenuta la complessità della motivazione, indica in giorni 45 il termine per il deposito della sentenza.-
VENEZIA, 09.10.2002

IL PRESIDENTE est     
Dr. Umberto ZAMPETTI   
firma                    

IL CANCELLIERE
   Caterina Iorio
        firma

 

Note richiamate nella sentenza

1. E' veramente incomprensibile che funzionari esperti e qualificati siano potuti incorrere in siffatta irritualità. Il momento particolare, a brevissima distanza dal fatto, e le prove raccolte non dovevano far temere che la presenza difensiva potesse pregiudicare le indagini.

2. Il MANDALA' aveva spontaneamente dichiarato il 31.10.2000 : "Nell'alternativa di rinunciare alla serata in discoteca, la Rossana ha deciso di incontrare il succitato Luca per chiedergli un prestito ... Lei continuava asserendo di aver già accordato un appuntamento ... intenzionata ad impossessarsi della tessera bancomat ... proponendomi di intervenire a volto coperto con un'azione violenta e cioè aggredirlo colpendolo alla testa per poi impossessarmi di detta tessera ... manifestando nuovamente la mia preoccupazione che potessi essere riconosciuto, la Rossana mi riferiva che in quel caso lo dovevo ammazzare. Lei ha ribadito che l'unica soluzione era quella di ucciderlo colpendolo alla testa ... alla fine ci siamo accordati ... e quando lei scendeva dall'auto con Luca avrei dovuto colpirlo alle spalle ... percorsi alcuni metri venivo avvicinato da Rossana che mi chiedeva se ero pronto ... a questo punto chiedevo dov'era Luca e la Rossana mi diceva che era in attesa alcuni metri più avanti ... sfilavo il martello e colpivo Luca alla nuca ... lo colpivo nuovamente alla testa ... lo colpivo nuovamente per altre due tre volte alla nuca, dopo di che mi liberavo del martello armandomi del coltello con il quale lo colpivo ripetutamente alla schiena ... "
La Bertelli aveva spontaneamente dichiarato nella stessa data : "Ad Alessandro riferivo che Luca aveva disponibilità di denaro e quindi manifestavo l'intenzione di rapinarlo e quindi gli chiedevo il suo aiuto per commettere tale fatto. Alessandro mi riferiva di essere disponibile ... abbiamo messo a punto un piano ... avrei fissato con Luca un appuntamento ... e quindi lui ci doveva raggiungere senza farsi scorgere e colpire Luca alla testa con un martello e quindi rubargli il portafogli ... Alessandro, tenendosi alle spalle, colpiva per ben due volte Luca alla testa ... aveva in mano anche un coltello del tipo di montagna con il quale aveva colpito alle spalle Luca ..".

3. E desta meraviglia che quelle note di ravvedimento espresse dal Mandalà nel suo primo deposto alla Polizia, in un atto peraltro la cui inutilizzabilità ne travolge tutto il contenuto, non siano state in qualche modo successivamente ripetute, neppure davanti a questa Corte.-

4. Il Mandalà è stato tutta l'udienza d'appello con la testa china stretta tra le mani.-

5. La Bertelli ha affrontato questo processo di secondo grado senza dire una parola, con un apparente atteggiamento di sfida, saettando l'aria con taglienti occhiate : il personaggio nei momenti forti ritrova se stesso.