Indice ed inizio argomento "ricordo di Luca Tonello"
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APPELLO ALLA CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI VENEZIA, DEL MANDALA' |
CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI VENEZIA
L'avv. Rosa Parenti del Foro di Treviso, difensore di fiducia nonché procuratore speciale giusta nomina ivi allegata di
ALESSANDRO MANDALA'
(nato a Treviso il 26.08.74 e attualmente detenuto per questa causa presso la Casa Circondariale di Treviso), imputato nel procedimento penale n. 7994/2000 R.G. N.R. avanti la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Treviso, con il presente atto propone
APPELLO
avverso la sentenza n. 39/2002 resa in data
21.01.2002 depositata il 01.03.2002 con la quale il prevenuto è stato
condannato per i reati previsti e puniti dagli artt. 110, 575, 576 n° 1 e 577
1° comma n° 4 - in relazione all'art. 61 n° 1 - e 628 comma 3° n° 1 del
c.p. di cui al capo a) e del reato previsto e punito dall'art. 4 comma 2° della
Legge 18.04.75 n° 110 di cui al capo b) dal giudice dell'udienza preliminare
presso il Tribunale di Treviso, a seguito di giudizio celebrato con le forma del
rito abbreviato, alla pena di anni 16 e mesi 10 di reclusione, oltre al
pagamento delle spese processuali nonché al pagamento delle spese di
costituzione di parte civile pari a Euro 6197 ed al risarcimento del danno in
favore della parte civile pari ad Euro 309.874, oltre all'interdizione perpetua
dai pubblici uffici.
Allo scopo si dimettono i seguenti contestuali
Motivi
Il presente gravame verte sui seguenti punti:
I)
- ERRONEA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO;
- OMESSA VALUTAZIONE DI ARGOMENTI FAVOREVOLI ALL'IMPUTATO;
- EQUIVOCA INTERPRETAZIONE DELL'ATTEGGIAMENTO PSICOLOGICO DELL'IMPUTATO.
II)
- SOLA EQUIVALENZA ANZICHE' PREVALENZA DELLE GIA' CONCESSE CIRCOSTANZE
ATTENUANTI GENERICHE SULLE AGGRAVANTI CONTESTATE;
- OMESSO INGRESSO DI ATTENUANTI PARTICOLARI DI CUI ALL'ART. 62 C.P.
Si espongono di seguito i diversi motivi di
doglianza.
PREVIA DIVERSA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL REATO E/O DERUBRICAZIONE DELLO
STESSO NELL'IPOTESI DI OMICIDIO PRETERINTENZIONALE EX ART. 584 C.P., RIDURSI LA
PENA NEL MINIMO PREVISTO DALLA LEGGE.
Preliminarmente va rilevato come la sentenza del giudice dell'udienza
preliminare presso il Tribunale di Treviso si è soffermata solo sui dati
meramente apparenti di chiaro e sicuro carattere suggestivo, ma di nessuna o
poca valenza probatoria in ordine a quel doveroso accertamento circa il
contenuto della volontà del prevenuto che l'illustre giudice di prime cure
aveva viceversa il compito di effettuare.
Invero, i dati di inverosimiglianza che stridono con la convinzione del
giudicante di trovarsi in presenza di un omicidio volontario e, per di più,
premeditato, sono numerosi e, a parere dello scrivente difensore, insuperabili
sia sotto il profilo logico che cronologico, ma soprattutto, modale e fattuale.
Innanzitutto va osservato come non sia sufficiente limitarsi ad affermare che
"soltanto la prima versione della BERTELLI appaia coerente con i
principali elementi oggettivi nel corso delle complesse indagini, con
particolare riferimento alle modalità dell'uccisione, ai moventi del crimine ed
alla condotta sul seguente reato" per pervenire poi a contestare la
difesa del MANDALA' laddove riconduceva la condotta del prevenuto nell'alveo
della preterintenzionalità.
In difetto di alcun elemento di riscontro che deponga in senso diverso diviene
infatti più che plausibile una lettura dell'intera vicenda diametralmente
opposta a quella prospettata dal Pubblico Ministero e acriticamente sposata dal giudice di prime cure.
In tale ottica non pare invero potersi dubitare di quanto appreso per stessa
ammissione del prevenuto laddove questi, minuziosamente e puntualmente,
ricostruisce quanto accaduto la sera del 30.10.2001 confessando senza alcuna
reticenza che "avendo concordato con la BERTELLI di colpire il TONELLO
esclusivamente per colpirlo e rapinarlo, avrebbe invece inferto il colpo mortale
solo perché in preda al panico (avendo la vittima gridato dopo il 1° colpo".
Tanto più che non sussistono seri argomenti di prova inconfutabili a
sostegno della prima versione resa dalla BERTELLI peraltro, come ben noto,
utilizzabile esclusivamente contro la stessa.
Ma a ben vedere è proprio il primo giudicante che nella sentenza ivi impugnata
evidenzia tutta una serie di circostanze e di elementi fattuale che
perfettamente collimano con le dichiarazioni del MANDALA'.
Si legge infatti nella motivazione che la vittima era stata colpita due volte e
che - come peraltro sottolineato dallo stesso consulente tecnico nominato dal
giudice - era stato inferto dapprima un colpo alla nuca con la mazzetta di
relativa e comunque modesta violenza, tale da non causare fratture craniche o
lacerazioni di rilievo.
Si rileva altresì in sentenza che il trauma mortale veniva arrecato alla
regione frontale dal secondo colpo inferto con notevole violenza tanto da legittimare, sulla base della differente forza impressa, l'ipotesi che in realtà
due siano state le mani coinvolte nell'uccisione.
Non solo: il giudicante sulla base delle considerazioni suindicate, si legge
sempre in motivazione, perviene addirittura ad attribuire l'aggressione mortale
al secondo uomo presente sul luogo del delitto e ciò per la diversa corporatura
e forza fisica, incompatibile con le diverse caratteristiche fisiche del
prevenuto.
Tali rilievi di indubbio significato sono stati del tutto dimenticati o comunque
non doverosamente valorizzati dal giudice di prime cure che in tal modo ha
totalmente disatteso i precisi ed inequivocabili dati scientifici offerti dai
periti d'ufficio.
Si rammenta difatti come i periti abbiano accertato che il primo colpo, benché
inferto con uno strumento il cui peso era indice di micidialità, non abbia
recato danno alcuno alla vittima, dando prova inconfutabile della reale
intenzione del MANDALA'.
Benché poi le perizie abbiano indotto ad ipotizzare che un altro uomo abbia
recato il colpo mortale, quello inferto successivamente alla prima aggressione,
non è stato comunque possibile affermare con la dovuta certezza e al di là di
ogni ragionevole dubbio se questo secondo colpo potesse essere stato ferrato dal
Mandalà ed in tale ipotesi secondo quali modalità.
Da ultimo va rilevato che la differenza di forza impressa nei due colpi inferti
non può che far deporre, come sottolineato dai consulenti d'ufficio, che il
primo colpo "era di relativa e comunque modesta violenza tale da non
causare fratture craniche o lacerazioni di rilievo" in favore della
violentissima reazione riferibile alla disperazione di chi da aggressore si
trova ad essere aggredito.
Nessun dato certo ed inconfutabile pertanto consentiva e consente sia sotto il
profilo soggettivo che sotto l'aspetto materiale di affermare a priori la
presenza nelle intenzioni del prevenuto di quel "animus necandi"
essenziale per sostenere una condotta volontariamente finalizzata ad uccidere.
Viceversa, sulla base delle risultanze processuali emerge come unico dato di
fatto che le reali intenzioni del Mandalà siano state quelle di stordire la
vittima per poi rapinarlo: la micidialità della mazzetta, indotta dalle
dimensioni e quindi anche dal peso della stessa, ben consentiva difatti anche
alla gracile corporatura del prevenuto di uccidere con un solo colpo inferto al
capo, se queste fossero state le sue vere intenzioni.
Vero è che l'unico dato oggettivo provato dai consulenti d'ufficio e acquisito
agli atti processuali e che - lo si ribadisce - il primo colpo "era di
relativa e comunque modesta violenza tale da non causare fratture craniche o
lacerazioni di rilievo".
Da ciò viene ancora una volta dimostrata la totale veridicità delle
dichiarazioni dell'imputato circa le proprie reali intenzioni.
ERRONEO GIUDIZIO EX ART. 69 C.P. E MANCATA
CONCESSIONE DELLE CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE EX ART. 62 BIS C.P. IN FORMA
PREVALENTE ALLA CONTESTATE AGGRAVANTI.
Prima di esporre le doglianze concernenti la misura della pena inflitta al
prevenuto, occorre da subito rilevare che la norma di carattere generale da cui
il giudice ricava il suo potere discrezionale è quella contenuta nell'art. 133
c.p., sicché, quando viene in discussione la misura della pena, delle due
l'una: o quel potere è stato ben esercitato, risultando dalla motivazione quali
elementi siano stati valorizzati al fine della dosimetria sanzionatoria - ed
allora ogni successiva censura dev'essere inammissibile; o quel potere è stato
mal esercitato, non risultando dalla motivazione alcun riferimento specifico - e
solo in tal caso la successiva lagnanza va reputata ammissibile. Al giudice
d'appello è devoluto quindi un secondo esame di merito ivi compreso quello
della congruità nella concreta commisurazione della pena (vedasi nota 1).
Dunque questa Corte, nel rivedere i profili attinenti il trattamento
sanzionatorio, è abilitata a verificare tutti i passaggi argomentativi
effettuati in proposito dal primo giudice ed a valutare se essi debbano essere
condivisi o corretti od integrati. Il giudice dell'impugnazione ha l'obbligo di
riesaminare il giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti, quando sia
investito di specifico motivo (vedasi nota 2). A maggior ragione, però, il
giudice del secondo grado può riconoscere nelle attenuanti concesse in primo
grado la presenza di connotazioni e di elementi fattuali che inducano a una
maggiore valorizzazione delle attenuanti stesse e conseguentemente è imperativo
l'obbligo di rimuovere il giudizio di comparazione con le aggravanti per
concederlo, se è il caso, in senso più favorevole all'imputato (vedasi nota
3).
Dunque codesta Corte dovrà accertare se il giudice del primo grado ha
rispettato o meno il principio di legalità della pena (vedasi nota 4).
Può con tutta tranquillità affermarsi che il primo giudicante sia pervenuto,
con la pronuncia della sentenza di condanna ivi impugnata, ad irrogare al prevenuto un trattamento sanzionatorio il cui rigore non trova giustificazione
nelle risultanze processuali.
Come è ben noto, il nostro codice penale - il quale appartiene a quel novero di
quei codici che prendono posizione esplicita sugli indici di commisurazione della
sanzione penale - impone al giudice nell'applicazione della legge penale
un'ulteriore considerazione sulla necessità di non irrogare una pena che sia
gratuitamente esemplare. Entro i limiti edittali precostituiti dal legislatore,
il giudicante determina la pena da infliggere secondo la propria
discrezionalità che deve, però, necessariamente trovare il conforto nella
realtà storico - processuale, atteso l'obbligo di "indicare i motivi
che giustificano l'uso di tal potere discrezionale" (art. 132 c.p.). Lo
scrupolo del legislatore, destinato a scongiurare il mero arbitrio nella scelta
del "quantum" di pena, è tale da giungere a vincolare la
stessa discrezionalità del giudice ad una serie di parametri, quelli indicati
nell'art. 133 c.p., che consentono, non solo idealmente, di individuare la pena
più aderente al fatto commesso ed alla personalità del colpevole.
Il legislatore ancora nel 1944, avvertendo la necessità di mitigare il rigido e
spietato regime del codice penale 1930, introdusse le cd. "circostanze
attenuanti generiche", riferite a tutte le "circostanze diverse"
da quelle prevedute nel precedente art. 62 c.p.. Dunque nel valutare la
posologia sanzionatoria, devono essere rispettati i fondamentali parametri
proposti dall'art. 133 c.p. avuto riguardo, sia alla gravità del reato che alla
personalità del colpevole, valutata quest'ultima anche in relazione alla vita
anteatta del colpevole.
E' infatti noto che, avuto riguardo al consolidato orientamento
giurisprudenziale, in tema di determinazione della pena:
la finalità del giudizio di comparazione, regolato dall'art. 69 c.p. è quella di valutare la personalità del colpevole e la vera entità del fatto, al fine di conseguire un perfetto adattamento tra la pena ed il caso concreto. Tale valutazione va correttamente eseguita con il richiamo agli elementi indicati nell'art. 133 c.p. od anche ad uno solo di essi (vedasi nota 5);
non va considerato impedimento, al riconoscimento della prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche, la semplice valutazione in astratto della gravità del delitto, ma è necessario fare riferimento al fatto nella sua concreta estrinsecazione (vedasi nota 6);
per la motivazione del risultato del giudizio comparativo il giudice non può limitarsi ad enunciare l'eseguita valutazione delle circostanze di segno opposto, concorrenti, essendo invece necessario che egli attenda ad una analitica esposizione dei parametri valutativi indicati, dato che soltanto in tal modo può parlarsi di corretto esercizio del potere discrezionale. Diversamente la norma dell'art. 69 c.p. rischierebbe di trasformarsi in uno strumento di diritto libero (vedasi nota 7).
Dal coordinamento della norma di cui all'art.
133 c.p. con quella di cui all'art. 69 c.p., si evince che il giudizio di
comparazione deve essere effettuato dal giudice, nell'esercizio del suo potere
discrezionale, allo scopo di ottenere una valutazione complessiva dell'episodio
delittuoso che, pur senza rinnegare il principio della proporzione tra la pena e
il reato, tenga conto, nel commisurare la pena da infliggere in concreto, della
particolare personalità del reo, considerato sotto ogni aspetto sintomatico e
della sostanziale entità della condotta criminosa.
Ebbene, proprio una rigorosa applicazione di detti parametri alla vicenda
processuale che vede imputato il Mandalà, imponeva al giudice di prime cure il
corretto esito di un giudizio comparativo di prevalenza delle concesse
circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo ai profili della personalità
del reo ed alle sue stesse condizioni al momento del fatto, considerati nel loro
peso specifico gli elementi qualificanti la giovane età del prevenuto, la sua
incensuratezza nonché il comportamento processuale tenuto. Elementi tutti che
sono in grado di rafforzare il peso e la valenza delle ritenute attenuanti, con
il risultato di un finale loro giudizio, non solo di elisione della negatività
delle opposte circostanze, ma di sostanziale superamento dei dati circostanziali
di contrastante segno (vedasi nota 8).
Nulla di tutto ciò può, viceversa, leggersi o ritrovarsi nella sentenza
impugnata. Invero, solo poche e frammentate righe sono dedicate alla
"ratio" che supporta il quantum di pena inflitta. Né d'altro canto il
giudice di prime cure motiva il gravoso aumento operato per la continuazione.
Emblematica rappresentazione di tale censurabile operato del primo giudicante
attiene proprio al riconoscimento delle attenuanti generiche che, pur
enfaticamente affermate, vengono da poi riconosciute in giudizio di sola
equivalenza rispetto alle contestate aggravanti.
Si riproducono letteralmente i relativi passaggi della sentenza di primo grado:
"sussistono precisi elementi che consentono di riconoscere ad entrambi
gli imputati le attenuanti generiche: essi sono di giovane età ed incensurati
(a loro carico non risultano nemmeno semplici presedenti di polizia); il
Mandalà svolgeva poi regolare attività lavorativa. Inoltre, si rileva come
nell'immediatezza del fatto entrambi abbiano reso ampia confessione delle
proprie responsabilità. A tale fatti non è possibile non riconoscere un certo
valore di rivisitazione critica delle proprie scelte".
Da tale premessa il giudicante perviene poi all'anodina conclusione:
"...nel prosieguo del procedimento hanno prevalso ragioni effettive di
difesa..." .
Pare invero difficilmente condivisibile il disconoscimento del giudizio di
prevalenza delle invocate attenuanti generiche attraverso il richiamo ad una
siffatta argomentazione. L'affermazione del giudizio di comparazione così come
motivato dal giudicante non può non essere oggetto di censure in quanto egli ha
dato una spiegazione del tutto apparente nonché persino confliggente con le
risultanze acquisite dagli atti.
Per contro, vanno valorizzati la personalità del Mandalà che, ben lungi dal
negare ogni addebito, ha riconosciuto la propria colpevolezza, la sua giovane
età nonché l'incensuratezza del prevenuto che mai prima d'ora ha avuto
problemi con l'Autorità Giudiziaria né si è reso responsabile di alcun reato.
Tutte tali circostanze consentono di affermare che le circostanze attenuanti
previste dall'art. 62 bis c.p, pertanto, non solo potevano, ma dovevano essere
poste in giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti.
Per tutti i motivi sin qui esposti si
CHIEDE
che codesta Ecc.ma Corte, in accoglimento del proposto appello, voglia accogliere le seguenti
CONCLUSIONI
In via principale: riqualificata
l'ipotesi di cui all'art. 575 c.p. nella fattispecie dell'omicidio
preterintenzionale p. e p. dall'art. 584 c.p., ritenuta la continuazione tra
tutti i reati e concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti rispetto
alle aggravanti contestate, comminarsi l sig. Alessandro Mandalà una pena
contenuta nel minimo di legge;
In via subordinata: ritenute le circostanze attenuanti generiche in
giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, determinarsi la pena
irroganda nei minimi edittali di legge.
Si allega istanza di ammissione al gratuito patrocinio.
Con osservanza.
Treviso - Venezia, li 19 aprile 2002
Avv. Rosa Parenti
firma
NOTE
1. Corte di Assise di Appello di
Venezia, sez. II, sent. n. 5/2000 in data 28.04.2000, ric. Godalli.
2. Cass. Pen., 12.01.1993, Principato, Mass. Pen. Cass. 1994, fasc. 3,1.
3. Cass. Pen., 12.01.1993, Principato, Mass. Pen, Cass. 1994, fasc. 3,1.
4. Cass. Pen. 9.06.1996, Franchini, Cass. Pen. 1997, 2701.
5. Cass. Pen., Sez. IV, 16.11.1998-5.01.1998 in ric. Carotenuto.
6. Cass. Pen., Sez. II, 03.02.1987-28.07.1987 in ric. Amato
7. Cass. Pen., Sez. VI, 29.05-8.10.1987, in ric. Rinaldi.
8. Corte di Assise di App. di Venezia, Sez. II, sent. n. 26/2001 in data
17.12.2001, Hudorovich.