L'ETERE DI EINSTEIN
Einstein con la
sua relatività speciale del 1905, scrisse che dato che all’etere mancava una
proprietà direttamente osservabile diventava un’aggiunta metafisica che doveva
essere eliminata dalla fisica.
Pertanto Einstein eliminò il termine “etere” dai suoi lavori, anche se
continuò a parlarne per rifiutarne l’idea, soprattutto con Lorentz. Fino al
1916.
Infatti da allora in poi, espose ben tre nuove concezioni di etere.
La prima fu quella della relatività speciale, dove Einstein lo identificò
con lo spazio-tempo e lo denominò come “etere inerziale”, rigido e assoluto. Cioè la presenza della materia e dei suoi movimenti non esercita alcuna
influenza sulla sua natura.
La seconda fu quella della relatività generale, dove l’etere non è né
rigido né assoluto e dove la presenza della materia con i suoi movimenti
esercita sulla sua struttura un’influenza che è variabile nel tempo. Einstein lo
definì come “etere gravitazionale”.
Infine la terza concezione fu di un etere basato sui suoi tentativi di
formulare una teoria di campo unificato. Questo modello ha una versione
diversa per ciascuno dei suoi tentativi di realizzare l’unificazione e cioè ha
ben sette versioni.
In conclusione,
nonostante ciò che viene normalmente creduto, si può affermare che anche
Einstein non poté fare a meno dell’etere, come risulta dalle seguenti sue
parole.
“ … non potremo fare a meno dell’etere, cioè di un continuo fornito di proprietà
fisiche; perché la teoria della relatività generale, i cui punti di vista
generali i fisici di certo terranno sempre ben fermi, esclude un’azione a
distanza diretta. Ma ogni teoria di azione per contatto presuppone dei campi
comuni, dunque anche l’esistenza di un ‘etere’”.
“Possiamo magari continuare ad usare la parola etere, ma soltanto al fine di designare le proprietà fisiche dello spazio. Nel
corso dell'evoluzione
della scienza la parola etere ha più volte cambiato di significato. Attualmente non
sta più a denotare un mezzo formato di particelle. La sua storia, anziché
essere terminata, si prolunga nella teoria della relatività” (traduzione di
Ludwik Kostro da "A. Einstein e L. Infeld, Physik als Abenteuer der Erkenntnis,
Leiden 1949, pp. 99-100").